sabato 4 dicembre 2010

Diario di viaggio (1) - Praga.

Arrivammo che la notte aveva ormai scurito il grigio delle nubi; l'aria era fredda ma non come avevamo immaginato e questo fece tirare a tutti un respiro di sollievo: forse avremmo scampato quello strano senso di gelo nelle ossa a cui, notoriamente, gli Italiani non sono poi così abituati. L'aeroporto era deserto e non so dire quali fossero esattamente i miei pensieri in quel momento ma ricordo che la preoccupazione più grande era per il cibo.
Saranno state le parole sempre ripetute su Praga ma effettivamente l'aria sapeva di sesso sommerso, rubato, nascosto o manifesto tra le strade e i fritti con cipolla. D'altra parte, non è sconosciuto agli occidentali questo aspetto della cultura dell'est; le donne più belle del mondo si concentrano in quest'area del pianeta e, a ciò, si aggiunge il fatto che tale loro dote naturale abbia portato alla valutazione della donna come oggetto fonte di guadagno, uno splendido oggetto da presentare al turista che, spesso, si muove unicamente per questo motivo.
L'impressione prima che ho avuto è stata che tutto avesse un odore diverso da quello di casa ma non sgradevole.... semplicemente diverso. Ci aveva accolti una pioggerella leggerissima, fina, così sottile che, per la prima volta in vita mia, non sentivo la smania di aprire l'ombrello, bastava il cappuccio. Il nostro interprete cercava di comunicare con Marco, l'unica persona in grado di parlare l'inglese in modo fluente mentre io restavo immobile a sentire, fingendo di essere immersa nella mia bolla di incomprensione comunicativa.
Credo che il grado con cui riusciamo a a stupirci sia direttamente proporzionale alla disponibilità dell'anima a rimanere stupita e inversamente all'ingombro di pensieri nella testa. Io mi trovavo nel mezzo, per entrambe le condizioni; per questo, l'impatto non fu dei migliori ma presi presto confidenza con quel cielo pesante di tonalità di grigio e basso e con tutte quelle guglie che sapevano tanto di romanzo di fantasia. Salì presto l'ansia di fotografare ogni centimetro della città, per far sì che gli affetti che avevo lasciato a casa potessero vedere con i loro occhi tutto quello in cui ero stata catapultata per poi riuscire a sentire, attraverso le mie parole, i profumi, le sensazioni, l'euforia di quei giorni. Charle's Bridge, la Moldava, Piazza dell'Orologio, il Castello diventavano sempre più familiari, al punto che mi riusciva perfino facile orientarmi benché le insegne e la cartina esclusivamente in ceco non aiutassero nei movimenti. Quello che mi ha lasciata un po' a metà sono state le strade quasi sempre deserte, fatta eccezione del centro, e la freddezza della gente del posto, piena del proprio lavoro e di un distacco assoluto... non so dire se sia davvero così o se sia stato un problema mio, che amo in massimo grado l'espansività e la solarità solidale. Tra tutti, però, c'è stata un'eccezione: Linda, una ragazza bionda, esile e con due occhi azzurri furbi e allegri, che lavora come cameriera nel ristorante italiano Buschetto, a Piazza San Venceslao. Parla benissimo l'italiano perché ha vissuto cinque anni qui da noi e ci ha fatto sentire a casa quando, dopo una scorpacciata di confusione mentale per un contesto incomprensibile, avevamo bisogno di qualcosa che parlasse la nostra stessa lingua e portasse addosso il nostro stesso odore.
Il fatto che la gente non camminasse per strada, però, mi aveva fatto impuntare e, così, ho chiesto spiegazioni ad Ales, il nostro interprete in inglese. Ales mi ha spiegato che quello che si vede fuori non è quello che c'è dentro: il clima molto rigido ha plasmato, comprensibilmente, le abitudini delle persone che non possono girare a piedi quando il freddo è così penetrante da tirare giù le orecchie; così, mentre le strade si svuotano, i locali si riempiono, che si tratti di ristoranti, pub, pizzerie, centri commerciali, negozi, non importa. Da ciò si spiega anche l'attenzione massima per il design: ogni locale è curato nei minimi dettagli, arredato con mobili e oggetti originali e sempre di senso nel contesto in cui vengono posti. Abitudine diffusa è quella di appendere o attaccare oggetti al soffitto: non è raro alzare lo sguardo e trovare appesi quadri, vasi con piante in una composizione d'edera e, addiritturam pianoforti e fisarmoniche!
Il centro, invece, dal canto suo, è sempre pieno di persone tra le strade, turisti che si muovono tra i mercatini e i monumenti e che si ritrovano tutti, alle 12 in punto, a piazza dell'Orologio per assistere allo spettacolo della danza della morte: un trombettiere, in un costume a strisce rosse e gialle, sale fin sulla Torre e comincia a suonare mentre le finestrelle, immediatamente sopra il grande orologio astronomico dalle sfumture blu e oro, si aprono per far sì che possano essere esposti i dodici apostoli che si presentano in fila, uno dopo l'altro, sei da una finestrella e sei da un'altra. La morte, sul lato destro della Torre, ricorda la sua presenza attraverso un teschio che batte rintocchi veloci sul suo campanello. Tutto si svolge nel giro di pochi minuti e, a spettacolo concluso, la folla radunata abbassa lo sguardo e si disperde, di nuovo, tra le stradine pulitissime del centro.

Non è stato triste tornare a casa... dopo un po' avevo cominciato ad avere di nuovo bisogno di sole che, a Praga, è sempre rimasto timidamente nascosto dal fitto manto di nubi.
Atterrati a Fiumicino e, poi, in macchina verso casa, l'unica nostalgia è stata per quel senso di sospensione a mezz'aria che ho provato sull'aereo, quella sensazione di essere davvero al di sopra delle nuvole, al di sopra di tutto, quelle nuvole che adesso potevo guardare solo rimanendo imbambolata con il naso all'insù.
Il bilancio è assolutamente positivo, nonostante all'inzio non credevo potesse esserlo. A me succede sempre così: mi innamoro di tutto ciò che a prima vista non mi piace e Praga non ha fatto eccezione.

lunedì 1 novembre 2010

Roma col sole è meravigliosa, viva; lei è viva per sé stessa e per te, che dentro puoi non esserlo abbastanza e per tutti quelli che la amano calpestando le sue superfici. Ricordo una conversazione anomala di tanti mesi fa: "vedi", mi diceva, "vedi... io morirò mentre tutta questa meraviglia mi sopravviverà, come è sopravvissuta a tanti, tanti, tanti prima di me". Eravamo al Colosseo, tra le voci divertite dei turisti, la pioggerella scomoda di fine gennaio e quegli interrogativi che sapevano di invidia umana per la storia, per quelle pietre profumate di essenze indecifrabili, di sudore, sangue e tempo insieme.

L'altro ieri ero a Via del Corso, con una compagnia diversa, ma la sensazione era la stessa: l'invidia per tanta bellezza sfuggita eternamente al tempo lasciava in bocca un sapore dolcissimo e tra i sensi uno strano torpore d'abbanono. Scrivere non basta per rendere l'idea; la mia penna non ferma che qualche piccolo frammento di pensiero ma non sa tirare la linea nel tratteggio.
Vorrei saper disegnare con questo inchiostro tutto quello che sento ma so che non è abbastanza florida la mia vena "artistica".

Mi piacerebbe riparlarne con te... che sei matto da legare ma straordinariamente parte del mondo.

giovedì 14 ottobre 2010

parole, parole, parole.

Lavorare con le parole è un compito di responsabilità oltre che un'occupazione artistica.
Le parole sono l'arma più subdola che l'uomo abbia a disposizione e significano soprattutto quando si fanno attendere: non rispondere è una risposta più valida della risposta manifesta perché indica un non atto e, dunque, una posizione netta.
La comunicazione verbale è ciò che consente scambi "umani" più o meno semplici e veicola messaggi senza difficoltà interpretative ma, proprio in questa scontatezza consumata nell'uso quotidiano, ha luogo la tragedia della sottovalutazione del loro potere intrinseco.
Sono molto rattristata per l'utilizzo improprio di termini con un valore incalcolabile perché, tale abitudine massiva, mi lascia la sensazione che nulla abbia più peso: tutto è alla mercé di una esaltazione globale, per giunta finta, attraverso cui tutti sembrano delle grandi personalità luminose. Ma che tristezza quando, invece, ci si accorge che la verità è diversa! altro che anime luminose; sono solo abbagli, specchi per le allodole.
Chiunque sia consapevole delle parole è detentore della delicatezza dell'essere: nessuno che abbia rispetto per un altro caricherà le spalle di una parola di sacchi di piombo se l'impalcatura per sostenere è appena plastica; nessuno che abbia rispetto per l'altro userebbe delicatezza se è necessario impeto.
Per ogni emozione, per ogni circostanza ci sono parole abbigliate all'uso e non ditemi che se non si fa attenzione il problema è la superficialità perchè vi risponderei che è proprio la superficialità che condanno ed evito.

venerdì 1 ottobre 2010

Buonanotte... a domattina.

"Molte cose giocano a rincorrersi nella mente, da qualche ora a questa parte.
Non sono riuscito a chiudere occhio, stanotte.. o meglio, lasciavo che le palpebre si stendessero ogni tanto ma solo per permettere alle lacrime di accarezzare il viso.
Non so come sia possibile che il mio animo si senta ancora lacerato da quella sceltà di libertà, non so perchè il tempo, invece di curare, stia ingigantendo il ricordo e l'emozione. Ho tentato più volte di trovare il filo del discorso ma non ci sono riuscito; ogni prova riporta dritta al suo sorriso, ai suoi capelli perennemente spettinati, al suo volto abbandonato all'anarchia del vento, alle sue mani piccole ma forti. Questa notte mi sembra una prigione eppure qualcosa, dentro di me, chiede al carceriere col suo volto di chiudere a tre mandate, di non fare la spia e di gettare la chiave di modo che io non possa uscire. Beh se tutti i carcerieri fossero così sarei fortunato...
Cerco di respirare profondamente per rallentare il battito del cuore ma solo perché ho paura che possa scoppiare e ti chiedo, mio amico immaginario, c'è una scelta giusta da fare? oppure la scelta giusta non c'è e quello che mi aspetta non sarà altro che un elenco casuale di eventi? Ti prego, rispondimi, ho bisogno di sapere; ho bisogno che la sua freddezza si trasformi nella mia possibilità di riprendere in mano le sorti della mia vita. Neanche aver avuto così tanta paura è bastato a voltare pagina ed è esattamente l'incapacità di lasciar andare che mi spaventa. Oscar Wilde diceva che solo le anime deboli si comportano così ... mi sarebbe piaciuto che Oscar Wilde avesse più stima di me... o forse no, perchè non ho mai prestato molta cura alla costruzione della mia maschera di forza, convinto che la vera forza sia nell'autenticità dei sentimenti... ma sarà poi vero quello in cui io credo? Ho la sensazione che le mie convinzioni siano un po' come un incosciente che ha l'ardire di camminare in una soffitta di legno sgarrupata, dove il legno scricchiola a ogni passo e la polvere sale fino a riempire le narici.
Apro gli occhi mentre continuo a singhiozzare: è tutto scuro, non distinguo nulla... e allora mi diverto a immaginare la volta del cielo, colorata di un blu cobalto che sembra velluto e puntellata da miliardi di stelle splendenti, appese come per incanto a qualche nuvola nascosta ai sensi. La vista di tutto questo dovrebbe rassicurarmi e, infatti, mi distende ma solo per un attimo perché torna il pensiero " a lui piace tanto guardare il cielo, a lui piacciono tanto le nuvole. Spero sia al caldo, che abbia mangiato e che sia sereno".
Le lacrime restano tra le palpebre.
Buonanotte... a domattina.

martedì 24 agosto 2010

Ogni tanto scrivo dal niente e per niente, per ispirazione.

Pensavo che quella mansarda fosse troppo piena di oggetti, di insetti e di polvere e io avrei dovuto passarci la notte. Così cominciai a sporcarmi le mani di nero nel tentativo di spostare qualcosa per potermi accucciare, esattamente come fanno i cagnolini, pensando tra me e me, di tanto in tanto, "ma chi me l'ha fatto fare!". Eppure, per l'amicizia si fa questo e molto altro. Qualsiasi cosa mi avessero detto in quel momento non avrebbe cancellato il sorriso da babbeo che avavo sulle labbra perchè il viaggio valeva la pena di essere vissuto. L'amico che dovevo incontrare ero esattamente io perchè, diciamoci la verità, non ero mai stato realmente amico di me stesso, avevo sempre odiato qualcosa del mio aspetto e non ero mai riuscito a comprendere gli angoli del mio carattere quadrato. Ma un giorno un saggio mi disse: "non puoi arrivare a conoscere gli altri fino in fondo se, prima, non impari a conoscere te stesso senza pregiudizi, senza spaventarti delle tue fragilità perchè la fragilità è una caratteristica peculiare dell'uomo e se io potessi, oh, se potessi, la conserverei in una teca di cristallo". Era saggio quel saggio e lo capivo solo in quel momento, mentre sentivo le formiche salire su per la gamba. Avrei dovuto imparare a non fare brutte smorfie alle mie debolezze come, invece, avevo sempre fatto per tutti i soli trascorsi dalla mia nascita a quel momento. Sorrisi. "ogni viaggio di scoperta di sé stessi ha un costo e il costo figurato è molto, molto, molto più alto dei costi effettivi che si incontrano. "Mio piccolo amico, sei ancora così piccolo! Quante cascate devi vedere, quanto cielo e quanto sangue, quanto bene e quanto male, quanta luce, quanta! Ma nei momenti in cui sentirai gli occhi chiudersi per via dell'intensità del sole e il corpo riscladarsi piacevolmente, non dimenticare di volgere lo sguardo alla luna, che ti ricorda che non è sempre giorno, che la vita è un'altalena tra sole e buio, tra bello e brutto, tra forza e debolezza."
Ricordavo le parole di quel saggio come se le avessi udite pochi istanti prima, eppure ne era passato di tempo. Forse, le ricordavo perchè il coraggio mi aveva imposto il viaggio e mai come in quel momento era importante, per me, ricordare. "Vedi, mio piccolo amico, io ho vissuto molto e solo dopo aver consumato la metà dei miei anni in routine di pratiche inanimate mi sono accorto che tutto quello che avevo fatto non aveva alcun valore, e sai perchè? Perchè avevo lasciato che l'abitudine divorasse i miei slanci, i miei bisogni, i miei desideri. e così sono venuto qui, tra queste due cascate, dove non c'è nulla ma proprio nulla se non il rumore dell'acqua e del vento tra le fronde. E sai cosa ho capito? Che si può fregare il tempo! Sì, si può fregare il tempo, te ne meravigli? e sai come si può fare? sconvolgendo sé stessi e imparando ad afferrare ogni attimo senza dimenticarsi di guardare quell'attimo da diverse angolazioni, per non lasciarsi scappare neanche un riflesso. Lo dico a te, mio piccolo amico, perchè so che puoi comprendermi perchè hai mantenuto la purezza del cuore di un bimbo nell'anima come negli occhi. Vai, afferra la tua esistenza, stringila e renditi parte della Natura perchè è questo che siamo davvero chiamati a fare."
La prima cosa che feci fu tornare nella casa dove avevo vissuto da bambino, per riassaporare le gioie di un tempo e ritrovare una dimensione adimensionale; e tra quei moscerini mi riuscì perfettamente. Io sono parte della Natura e tale voglio restare. E' naturale.

sabato 7 agosto 2010

i castelli di sabbia.

Ci vuole tanto tempo per costruire castelli di sabbia; bisogna scegliere bene il quantitativo di acqua con cui amalgamare la sabbia asciutta, bisogna saper muovere bene le mani, dare un taglio di forza se occorre compattare nel modo migliore e avere tanta, tanta pazienza. Ma un castello di sabbia, un castello di sabbia resta: le onde del mare sono più forti dell'impalcatura che si cerca di dare alla terra; perfino la spuma riesce, a poco a poco, ad erodere. E la brezza diventata vento butta giù tutto, in un attimo. Tempo sprecato.
Mi chiedo perché la gente si ostini a costruire castelli di sabbia; trovo che sia un'occupazione molto poco sensata. Costruire per poi vedere tutto distrutto... meglio allora non costruire affatto e passare il tempo a rotolarsi nella sabbia.
Eppure, la mia vita è piena di castelli di sabbia, dalle forme più diverse e complicate, alcuni sembrano addirittura progettati da architetti esperti. Ma hanno fatto, fanno, tutti la stessa fine, basta un attimo; la fine che ha inizio da una sensazione di errore, di fiducia assoldata che viene macinata con indosso il vestito delle feste, di stanchezza. A guardare indietro sembra un campo di battaglia, con i resti abbandonati li, anche un poco a caso, e il fumo che ancora esce da qualche pezzo di carte dato alle fiamme.
Solo che io sono stufa di costruire castelli di sabbia, vorrei cominciare ad usare anche il cemento e il marmo per gli interni.

martedì 3 agosto 2010

dove Lilly voleva stare

Mi piacerebbe che leggeste ascoltanto la canzone "Stuck in a moment" degli U2


Tornò sul luogo del delitto perchè aveva creduto fosse giusto così. Il sangue era ancora lì per terra ma era scuro, adesso, rappreso. Lucas guardava la scena senza battere ciglio, con l'atteggiamento duro di sempre anche se qualcosa, dentro, gridava rabbia e impotenza e solitudine e paura. "Chi l'avrebbe mai detto, eh?" sospirò.

Poggiò lo zaino per terra e si sedette accanto, incrociando le gambe come d'abitudine, come aveva fatto anche quel pomeriggio con Lilly, quando ancora sentiva di essere colpevole per le attese di lei, per il detto e il non detto. Era partito ma era tornato indietro per esorcizzare quell'abbraccio di cui sentiva di avere ancora bisogno. Strinse le arcate dei denti una contro l'altra, fece pulsare la mascella e scurì lo sguardo, cercando di ricacciare le lacrime che si affacciavano sul viso. Lui, che aveva sempre creduto nel potere assoluto della volontà, doveva arrendersi alla vittoria del caso, delle non regole sulle regole, del gioco sporco sul gioco leale, degli anni sugli attimi.
Scontava tutte le colpe passate in quel bisogno di normalità che l'aveva scottato più della stranezza con cui si era sempre dissetato, inaspettatamente desideroso di dolce e non di amaro. Adesso, adesso i giochi erano ormai compiuti e non c'erano più strade possibili da percorrere insieme ma un unico sentiero diroccato che aveva, però, sbocco sul mare, il mare che lui amava tanto e che lo aveva accolto, sempre, a ogni ferita, a ogni ritorno.

- "sei qui". Una voce dolce e sottile lo sorprese. Si voltò sorridendo mansueto perché l'aveva riconosciuta; era lì', ancora una volta, a tendergli la mano per alzarlo da terra.
Si guardarono sorridendo, l'uno cercando ancora di riconoscersi nell'altra.
- "Grazie per essere venuto, Lucas."
- "Non c'è di che".

Lilly si sedette al suo fianco e lo guardò con gli occhi un poco lucidi perché, in quel momento, avvertiva tutto il peso che Lucas aveva caricato sulle spalle, tutte le spine che gli avevano provocato dolore e che lui aveva tolto con pazienza, una a una, disinfettando con cura la pelle trafitta.
Cominciarono a parlare del più e del meno, come fecero la prima volta che decisero di comunicare ma Lucas, all'improvviso, sbottò.

- "Sai, lilly, cosa è davvero terribile per me?"
- "cosa, Lucas?"
- "non vuoi provare a capirlo da sola prima che io te lo dica?"
Lilly abbassò gli occhi: era evidente non volesse e Lucas avrebbe fatto bene a farsi bastare l'attenzione che fino a quel momento gli aveva accordato, per altro a tratti.

"e' terribile sapere che non sei mai stata mia, mai, neanche per un secondo soltanto, nonostante ti avessi tra le mani" Lucas gesticolava come se stesse mimando gli abbracci che l'avevano fatto innamorare mentre cercava di trovarla negli occhi che lei continuava a nascondere per mancanza di coraggio: non sapeva proprio con quali parole ribattere a ciò che Lucas aveva appena detto e sentiva che il momento della verità era tristemente vicino.

- "è così, non è vero?" la incalzò Lucas
- "lucas..."
- "è così, vero? Rispondi!"
- "lucas io..."
- "Rispondi!"
- "Lucas io non...."
e Lucas si alzò di scatto, afferrando con forza la sacca e cominciando ad allonanarsi da lei.
- "lucas, credimi! io non avrei mai voluto farti soffrire! mai!" Lo sguardò di Lilly aveva tutta l'aria di essere senza speranza e la voce cominciava a tremare, come mai era accaduto fino a quel momento. "Lucas, ti prego, fermati!!" urlò squarciando il cielo. Lucas si immobilizzò di scatto ma non si voltò verso di lei e "cosa vuoi?" urlò di risposta, freddo come il ghiaccio. Lilly prese ad andargli incontro ma, arrivata a un centimetro dalle sue spalle, non ebbe il coraggio di toccarlo.
- "lucas, perdonami, io non volevo lo scoprissi così, non volevo! e sapere che adesso stai soffrendo a causa mia mi devasta l'anima ma..."
- "ma tu ami Leandro."
- "Lucas... "
- "... per favore, risparmiami le chiacchiere di rito. Ti avrei aspettato tutta la vita, se tu me lo avessi chiesto. Ma non me lo hai chiesto e io non potrei mai aspettarti, di mia spontanea volontà, sapendo che lo ami anche ancora e che, peggio, non hai smesso un secondo di amarlo, neanche quando era la mia carne che tenevi tra le mani."
- "Sei importante per me, Lucas. Ti ho raccolto io dalla strada, ricordi? ho a cuore la tua vita, sto bene quando mi parli, mi sento felice se posso condividere con te le mie giornate.."
- "ma ami lui, Lilly."
- "non andare, ti prego, non lasciarmi adesso."
- "non posso restare, Lilly e non posso restare perché ti amo. Addio".

Lucas riprese a camminare, mentre una lacrima solcava il viso, lasciando Lilly nella posizione di un plastico, con il braccio teso verso lui che andava via. Ma non pianse, Lilly: in fondo, Leandro la aspettava dall'altra parte della strada ed era lì che Lilly voleva stare.

giovedì 29 luglio 2010

"E' bella la strada per chi cammina."

Prese su lo zaino, pesante e pieno fino all'orlo, lo assestò per bene sulle spalle, testò il baricentro del bacino e cominciò a camminare, stanco prima ancora di muovere i primi passi.
Davanti agli occhi, una strada lunga, segnata ai bordi da piante di varia natura e dal letto posseduto dal giallo scuro delle foglie cadute, tagliava a metà la campagna dipinta dai toni soffusi d'autunno.
Teneva lo sguardo dritto per non cedere alla commozione del cuore e stringeva i pugni nelle mani come era sempre solito fare. Aveva paura ma non l'avrebbe mai ammesso, neppure a sé stesso, perché farlo avrebbe di certo significato lo stop del suo cammino, cominciato per la perdita di un'ombra dai capelli biondi e proseguito, tra bene e male, con la compagnia discreta di un'anima nobile.
Lasciava che i volti delle presenze che lo avevano accompagnato fino a quel momento facessero capolino dalla tenda scura dei suoi occhi e che lo salutassero con le loro abituali movenze, diverse per ognuno e, per ciascuno, cariche di emozione.
Per ogni ricordo di sguardi sentiva affiorare un sorriso diverso, diverso forse perché ogni quadro d'avventura aveva assunto un significato differente, bello per la sua assoluta irripetibilità anche quando protagonista indiscusso era stato il dolore.
Non fuggiva, Lucas; semplicemente, andava via, di nuovo, per cercare la sua oasi di senso, sempre così vicina nella percezione del momento ma inafferrabile all'evidenza dei fatti; un po' come la pentola d'oro dell'arcobaleno: più ti avvicini e più ti sfugge.
Canticchiava un motivetto sconosciuto e, quando era stanco di sentire l'eco della voce, accompagnava il silenzio fischiettando, pregando a tratti per un aiuto ché la sensazione incombente era quella di non avere più abbastanza forza per andare avanti.
Ma la Luce che aveva da sempre guidato il suo cammino non smetteva di brillare e lo rassicurava con la certezza che tutto sarebbe andato come i suoi desideri, ottimisti e dalle grandi aspirazioni, avevano disegnato. E poi c'era l'ombra, che non era più semplicemente un'ombra ma una presenza viva e costante al suo fianco... e lo teneva per mano perché, se anche fosse caduto, non sarebbe rimasto a terra come quella notte, mai più.
Alzò gli occhi al cielo e si lasciò travolgere dal tramonto pastello che gli imponeva la sua bellezza, lasciandolo invidioso ma pieno di tanto splendore senza artefatto. In fondo, fondersi con la Natura era tutto quello che aveva sempre sognato e il suo essere socialmente solitario l'aveva aiutato, sempre, a non tralasciare il suo bisogno di contatto con la terra. Ma adesso, confuso da un sentimento che non sapeva chiamare per nome, non aveva più la certezza ferrea che il mare, il tramonto, il vento, le nuvole, sarebbero bastati a riempire le vene e, mentre continuava a infognarsi in ragionamenti razionali, capì che l'unica immediata soluzione era non smettere di camminare, ovunque la strada fosse diretta.
"E' bella la strada, per chi cammina."

domenica 25 luglio 2010

Sono una strada sbagliata.




Tu, che sorridi dolorosamente buttando lo sguardo in modo distratto da qualche parte intorno a te; tu che ti senti sempre in disordine e fuori posto; tu che quando esce il sole sei felice ma ti senti serena solo se puoi rimanere ferma a guardare la luna; tu che implori te stessa di non cedere, mai, anche quando tutto sembra spingerti oltre gli ultimi sassi dell'altura a strapiombo.
Tu che ti fidi, che non sai negarti, che perdoni; tu che non sei capricciosa ma comprensiva, che non sai ridere se sei arrabbiata, che non sai piangere se non ce n'è motivo, che non sai inveire contro l'altro ma provi a cercare una giustificazione. Tu che consoli anche quando dovresti essere consolata, che resti ore a guardare il soffitto bianco della tua camera in totale apnea mentale o con fervida immaginazione; Tu che digrigni i denti se qualcosa ti fa male, che stringi i pugni e ferisci te stessa pur di non ferire gli altri. Tu che non provi gusto a mettere alla prova, tu che cerchi di non giudicare, di non pesare su chi ti è affianco. Tu che adori i momenti di silenzio più di quelli rumorosi e parlati. Tu che sei insicura e che dovresti migliorare perché a nessun uomo potrebbero mai piacere le tue insicurezze, perché nessuno mai avrebbe voglia di accoglierti sfidando le incertezze, le tue paure, la tua estrema timidezza.
Tu che sei qui, oggi, a contare i tuoi errori, incapace di trovare qualcosa che ti dia la spinta per non smettere di desiderare: tu sei una strada sbagliata, un percorso turistico che non suggerisce la voglia di restare, che non strappa l'anima a morsi come una figura di donna dovrebbe fare con un uomo, che non rende inebriato e pazzo chi si accosta a te. Tu sei così qualcosa a cui è facile rinunciare e, quando te ne rendi conto, non sai proprio più da dove cominciare ché tutto quel che potevi migliorare l'hai già migliorato.
Tu, sei una strada sbagliata che non si percorre mai fino in fondo.
Tu non sei qualcosa di valore.
Tu sei solo una strada sbagliata.
Tu, sei una strada sbagliata.

venerdì 23 luglio 2010

Parla Piano.

La parola "purtroppo" ricorre molto spesso, purtroppo, tra le mie espressioni. Ecco, appunto, purtroppo.
"Sopra il volto tuo pago il pegno di volere ancora avere, ammalarmi di te, raccontandoti di me..."
Quel che resta è solo cenere, un grumo di granelli grigi che avanza la pretesa di essere comunque utile ad accendere una fiamma diversa dal fuoco della passione. Ma adesso io mi chiedo: "è davvero così semplice, per te?"; mai lo è stato e mai lo sarà, per me, anche se impossibile non è... tutto è possibile se lo si vuole.
"Affidarsi a te, non fidandomi di me. Sopra il volto tuo pago il pegno di rinunciare a noi, di vederti soltanto nel volto del ricordo".
Qualsiasi cosa tu voglia dire, parla piano, per non perdere una sola virgola di quello che vuoi dirmi, per non rendere confusa l'agonia, per infarcire il discorso di qualche bugia di comodo che scarichi la tensione che le nostre mani esprimono tremando, cercando le dita dell'altro per poi respingersi, consapevolmente responsabili di essersi toccate quando avrebbero dovuto non sfiorarsi affatto.
Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, dilla, anche se probabilmente non ascolterò perchè lo sguardo è fisso sul mare, come quel giorno, e la testa troppo vuota e chiusa a mille mandate per permettere alla tua chiave di aprirla ancora, ancora una volta, senza che a coprire ci sia un velo di tristezza.
Parla piano, se vuoi parlare, ma non capisco proprio come tu possa ancora avere voglia di fare rumore con le labbra; in realtà non so se tu ne abbia voglia e non riesco a immaginarlo perché il filo che ci legava e che ci permettava di capire l'altro senza suoni, si è rotto... momentaneamente.
Quello che mi scorreva dentro, al passare di un pomeriggio caldissimo tra i granelli di sabbia, io, l'ho detto ma tutto quello che vorrei dire adesso, io, non riesco a dirlo: si ferma prima di arrivare in gola, corrodendo lo stomaco. Ma non permetto a questo acido dolcissimo di uccidere l'ottimismo con cui ho sempre imboccato le mie strade, sorridente e propositiva, disposta a trovare accordo, un punto comune e una risata in più... torneranno quei giorni, ne sono certa ma adesso non riesco ad esprimermi se non con qualche goccia d'acqua dal sapore un poco aspro e non riesco a volerti vicino se non un po' lontano: il tuo sorriso mi farebbe male, la tua spensieratezza mi colpirebbe così come mi colpisce il suo volto accanto al tuo.
Quando torno a casa mi illudo di riassaporare il profumo dei tuoi pensieri nella speranza di vedere il telefono illuminarsi; mi ripeto che mi piacerebbe camminare ancora nella tua testa, zompettare di qua e di la fino a strapparti un sorriso o un "dai, angelina, dobbiamo andare". Forse è questo che accade quando ti strappano dalle mani il regalo che hai appena ricevuto; non ne ho idea, non so dirlo. Io so solo che le nuvole sono ancora lì, loro che passano sempre, che pensavamo sarebbero passate come noi non avremmo fatto per noi due, almeno non adesso. Loro non sono passate, sono sempre lì, dove passa la ferrovia, ad amarsi tenendosi per mano come noi non facciamo più.
Loro, che dovevano passare, sono lì. E noi, che pensavamo di non passare, siam passati.
Se proprio vuoi parlare, parla pure.... ma parla piano.

"la verità non si sa, non si sa come riconoscerla; cercarla nascosta nelle tasche, i cassetti, il telefono... che ti da, che mi da, cercare dietro gli angoli, celare i pensieri e morire da soli in un'alchimia di desideri".

domenica 18 luglio 2010

Ho avuto bisogno di te.

Ho immaginato che lo schienale della poltrona su cui mi ero accoccolata fosse il tuo petto e che i braccioli prendessero la forma delle tue braccia per tenermi in una sfera amorevole, calda e morbida.
Solo un tuo abbraccio avrebbe potuto calmare l'ansia, il nervosismo, solo il tuo respiro avrebbe potuto permettere al mio di sincronizzarsi su una frequenza più bassa... lo sentivo.
Ho immaginato che il tuo mento spostasse con dolcezza i miei capelli e i tuoi silenzi accarezzassero i pensieri imbizzarriti.
Ho avuto bisogno di te, come una bambina arrabbiata ha bisogno delle carezze della mamma per prender sonno; così ho afferrato il telefono e ti ho implorato di soccorrermi... e tu sei arrivato col pensiero e mi hai tenuta stretta, senza dire una parola, come ti avevo chiesto. Così ho cominciato a dondolare, quasi che tu fossi lì davvero e mi ripetessi con la tua voce fina e ferma "shhh, non aver paura, non è niente.".
So che stasera non riuscirò ad addormentarmi ma proverò a calmarmi pensandomi nel tuo abbraccio, ripetendomi la tua voce che mi dice "Non è niente, stai tranquilla, non è niente".

... Ora che ci penso, non può essere niente il fatto che ho avuto bisogno di te.

giovedì 15 luglio 2010

la luce accecante delle palpebre chiuse

Avevo un'idea ma l'ho perduta, si è allontanata come la nuvola di fumo che segue l'atto del tirare con avidità una sigaretta: è rimasta sospesa per un po' davanti a me, leggermente indistinta e poi è andata via. Ho provato a rincorrerla ma non si fa afferrare.
E' libera, come l'aria, scivola ribelle tra le dita.
E' un'idea di fumo che non fa male ma lascia in bocca uno spillo che porta a tossire in modo poco composto. Con la gola brucerà anche l'istinto, colpito dal perdere battute indispensabili alla continuazione di un'insensatezza senza vincoli.
Alcune idee sono castelli di sabbia lasciati a far l'amore col vento e, proprio come il vento, che allontana con impazienza granello dopo granello lasciando uno scheletro di distruzione, così esse subiscono attentati alla struttura per finire tra gli altri granelli, sfinite, confuse e innominate. Domani potrei non avere più voglia di pensare: la realtà è già talmente colorata che appesantire la mente di stupide fantasie non ha davvero senso... E allora oggi andrò a dormire, per nascondere tra le palpebre i sogni che ancora spero possano diventare realtà, per ballare in uno spazio soltanto mio, illuminato a intermittenza da una luce accecante. Nel momento in cui lascio abbandonata ogni parte del mio corpo, mi sento davvero me stessa, mi guardo dal di dentro come se stessi facendo una panoramica dall'alto e mi faccio davvero tanta tenerezza. Non digrigno i denti e non stringo i pugni, non sistemo i capelli davanti agli occhi con gesti inquieti, non resto fissa con lo sguardo ambra su nulla.
Gli occhi sono chiusi, finalmente, e vedono solo quello che vogliono vedere con l'alternarsi di immagini tipico di una sequenza cinematografica. Nei miei momenti di buio lucente posso cambiare idea cinquantamila volte senza sentire il peso della responsabilità, posso fare una carezza e trasformarla in pugno sullo stesso viso e posso sentirmi docile, come non può accadere quando sono sveglia.
Chi l'ha detto che la dolcezza, quella vera, quella autentica, non stia, in realtà, in uno sguardo imbronciato?

lunedì 5 luglio 2010

Lilly rimase incantata per un attimo, come se poco distante da lei ci fosse la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua; se Lucas l'avesse trovata così assorta avrebbe fatto, di certo, una delle sue improbabili, buffe espressioni: a Lucas non piaceva essere guardato perché la cosa lo faceva sentire a disagio.
Lo guardava sfogliare con delicatezza e attenzione il libro che teneva tra le mani, seduto su una piccola seggiola di paglia, con la gamba destra a formare un angolo con la sinistra, un po' curvo e con la testa bassa. Tutto intorno a lui un prato, curato e di un verde dalla tonalità non troppo accesa, accompagnava l'occhio fino al pendio di una piccola collina brulla, al di là della quale attendeva, paziente e calmo, il mare.
Pensò a qualcosa da dire, a una frase a effetto per distoglierlo e soprenderlo ma rimase lì, in attesa e afona, a un palmo di naso da lui che sembrava non accorgersi di nulla tranne che dell'aria leggera delle prime ore della sera che stuzzicava il colletto della camicia e gli strappava un sorriso, di tanto in tanto, come una carezza.
"Le tue parole fanno male, sono pungenti come spine... sono taglienti come lame affilate e, messe in bocca alle bambine, possono far male, possono ferire, farmi ragionare, sì, ma non capire! non capire!... Ma tra le tue parole e i tuoi silenzi io preferisco di gran lunga le parole, anche se dure e senza fronzoli perché so, perfettamente, che oggi non sarei qui se tu fossi stato diverso, anche solo un po'". I pensieri di Lilly si agitavano tenaci e con la stessa forza cambiavano forma per attanagliare la gola e arrivare, infine, all'altezza del petto; a quel punto, gli occhi di Lilly si chiudevano per poi riaprirsi un istante dopo, nitidi ma lontani.
Sostando tra un capitolo e l'altro, Lucas si guardò intorno e, scorta Lilly poco lontano sulla sua sinistra, chiuse il libro in modo misurato, si alzò, sistemò il mattoncino sotto il braccio e prese ad andarle incontro. Lilly non si fece attendere e mosse anche lei i suoi timidi passi verso di lui che, adesso, pareva agli occhi di lei più perfetto ancora e ancora più giusta le pareva la strada percorsa fino a quel momento. Non sapeva, però, che l'anima spartana e volubile di Lucas l'avrebbe messa alla prova, una volta ancora:
- "come sempre in perfetto orario!"
- "Sono qui da qualche decina di minuti ma non ho voluto disturbarti, non volevo perdermi lo spettacolo per niente al mondo". rispose lei, aperta come un libro scritto con inchiostro blu netto su fogli bianchi come il latte.
- "lo spettacolo? che spettacolo?" riprese Lucas, interrogativo.
- "uhm... mah niente..." ma le si intravedeva sulle labbra un sorriso malizioso incantevole - "volevi parlarmi, hai detto. che si fa? restiamo qui tra le margherite o andiamo da qualche parte?"
- "lilly...." poi una pausa
- "ti ho già detto che questo tuo non decidere un po' mi infastidisce?... ma solo un po'"
- "me l'hai detto, Lucas. Ma anche tu non decidi mai..."
- "Già... A questo proposito... Lilly.... "
- "Ti prego, non dire nulla, so di cosa vuoi parlare..."
Lucas si voltò verso di lei, scuro e pensieroso.
Avevano assecondato la pigrizia e si erano seduti nello stesso punto dove si erano incontrati, tra le margherite e l'odore di fieno che il vento portava da poco lontano, con le gambe incrociate e la schiena un poco curva... erano divisi, nessuna parte del corpo dell'uno toccava, neppure per sbaglio, quella dell'altra, eppure mai come in quel momento le loro teste si tenevano per mano.
- "quindi hai capito cosa volevo dirti..."
- "Sì, Lucas, non ti preoccupare."
Dopo qualche minuto, Lilly divenne un fiume in piena:
- "Se ripenso a come ti ho trovato... se penso a come sei adesso..." - sorrise sospirando - "eri completamente perso, si vedeva lontano un miglio anche se facevi di tutto per nasconderlo. Ridevi ma in ogni sorriso c'era una goccia di amaro, di rimpianto, di risentimento, di dolore e adesso ridi senza ombre. Credi che sia poco questo, per me? Non rispondere, fammi continuare."
Lucas la guardava a denti stretti, statico come un masso mentre Lilly continuava il suo racconto a testa bassa, come a trovare il coraggio per non fermarsi.
- " No, lucas, non è affatto poco questo, per me. Ho fatto quello che, adesso, avrei desiderato fare. Del resto, sai benissimo quanto anche io avessi bisogno di cure, di spensieratezza, di gioco e tu mi hai dato tutto questo in modo così naturale che adesso la tua presenza, per me, è una droga. E non importa se non ci apparterremo mai! quello che ho avuto di te mi basta perché averti aiutato a essere splendente come adesso sei è più di quanto io avrei mai potuto desiderare di te, l'unica cosa che davvero porta un valore incalcolabile ai miei occhi. Conosco i tuoi dubbi, so come ti senti, so cosa senti, so che c'è ancora lei nella tua testa, so che non l'hai dimenticata e capisco che per te non sia facile, ma..."
- "io vorrei soltanto salvarti, Lilly...io non... io non so se.... io, lei la... perché non so se poi... sai che se non sono certo io sono... perché insomma,ho paura che.... non voglio che tu soffra a causa mia, non voglio che tu...salvarti, capisci?"
- "salvarmi?"
- "sì, salvarti!"
- "E se io volessi rischiare di morire?"
Lucas spense lo sguardo a terra e non rispose mentre Lilly, dopo averlo baciato dolcemente su una guancia perché le labbra,stavolta, non le erano accessibili, si allontanava da lui.
Ma Lucas, incapace di quella responsabilità, lasciò all'eco il compito di ripeterle:

"Voglio solo salvarti da me!"

venerdì 2 luglio 2010

.... la luce sorprendente della morte.

Per alcuni il tempo non lavora. Con alcuni il tempo non riesce a erodere; anzi, pare addirittura agire al contrario. Ma questo accade solo per le anime che, sebbene inconsapevolmente, hanno vinto la vera battaglia con la vita, col passare inesorabile dei minuti, delle ore, dei giorni, dei mesi, degli anni, anche tanti anni. Perché è sempre il meno consapevole che frega il tempo, nel suo ingenuo e limpido progredire passo dopo passo, con l'entusiasmo di chi della vita vuole sentire ogni sapore, toccare ogni attimo, senza risparmio. Solo le grandi anime possono rapire i cuori e incidere su di essi il proprio nome così che ogni ferita, profondissima, non riporti solo dolore ma anche emozione.
Credo che Francesco Alviti sia stata una di queste anime speciali, di quelle che ti dispiace non avere incontrato quando il normale significato del "vivere" era comune a entrambi. Ma l'incontro postumo non è meno carico di importanza, non quando la morte combatte ancora con la vita, perdendo tutte le sue battaglie. Francesco in 20 anni ha costruito tanto, forse più di quanto io riuscirei a fare in tutta la vita e sembra ritornare in questo quell'antico concetto popolare che dice: "coloro che hanno tanta voglia di fare, di scoprire, forse hanno così tanta fretta perché sentono di dovere andare via presto" e, tale progressione terrena di invecchiamento limitata, accomuna spesso le meteore più luminose, le presenze più speciali che anche nell'assenza sembrano non essere mai assenti.
Io potrò vivere anche 100 anni ma la mia vita non sarà mai lunga come quella di Francesco: lui rimarrà sempre sorprendentemente vivo. Io finirò, lui no. Lui sì che è immortale.

mercoledì 30 giugno 2010

Rossetto e cioccolato

Ci vuol passione
molta pazienza
sciroppo di lampone
e un filo di incoscienza
ci vuol farina
del proprio sacco
sensualità latina
e un minimo distacco
Si fa così
rossetto e cioccolato
che non mangiarli sarebbe un peccato
Si fa così
si cuoce a fuoco lento
mescolando con sentimento...
Le calze nere, il latte bianco
e già si puo vedere
che piano sta montando
è quasi fatta
zucchero a velo
la gola soddisfatta
e nella stanza il cielo
Si fa così
per cominciare il gioco
e ci si mastica a poco a poco
Si fa così
è tutto apparecchiato per il cuore e per il palato
Sarà bello bellissimo travolgente
lasciarsi vivere totalmente
dolce dolcissimo e sconveniente
coi bei peccati succede sempre
Ci vuole fortuna perché funzioni
i brividi alla schiena
e gli ingredienti buoni
è quasi fatta
zucchero a velo
la gola soddisfatta
e nella stanza il cielo
Si fa così
per cominciare il gioco
e ci si mastica poco a poco
si fa così
è tutto apprecchiato per il cuore e per il palato
Sara bello bellissimo travolgente
lasciarsi vivere totalmente
bello bellissimo e sconveniente
coi bei peccati succede sempre!

domenica 27 giugno 2010

Allo specchio.

http://www.youtube.com/watch?v=YNyN--TqIIs&feature=player_embedded#!



Quando sarò capace di amare

probabilmente non avrò bisogno

di assassinare in segreto mio padre

né di far l'amore con mia madre in sogno


Quando sarò capace di amare

con la mia donna non avrò nemmeno

la prepotenza e la fragilità

di un uomo bambino


Quando sarò capace di amare

vorrò una donna che ci sia davvero

che non affolli la mia esistenza

ma non sia lontana neanche col pensiero.


Vorrò una donna che se io accarezzo

una poltrona, un libro o una rosa

lei avrebbe voglia di essere solo

quella cosa...


Quando sarò capace di amare

vorrò una donna che non cambi mai

ma dalle grandi alle piccole cose

tutto avrà un senso perché esiste lei.


Potrò guardare dentro al suo cuore

e avvicinarmi al suo mistero

non come quando io ragione

ma come quando respiro.


Quando sarò capace di amare

farò l'amore come mi viene

senza la smania di dimostrare

senza chiedere mai se siamo stati bene


E nel silenzio delle notti

con gli occhi stanchi e l'animo gioioso

percepire che anche il sonno è vita

e non riposo.


Quando sarò capace di amare

mi piacerebbe un amore

che non avesse alcun appuntamento

col dovere


Un amore senza sensi di colpa

senza alcun rimorso

egoista e naturale come un fiume

che fa il suo corso.


Senza cattive o buone azioni

senza altre strane deviazioni

che se anche il fiume le potesse avere

andrebbe sempre al mare.


Così vorrei amare...


Quando ho ascoltato questa canzone per la prima volta mi sono commossa e l'ho ascoltata ancora, non una volta soltanto.
Mi rimanda a una cosa che non voglio dire e a un sogno che ho sempre fatto, alle idee che ho sempre avuto ma che ho soltanto fumato.
La fragilità dell'uomo bambino non va persa ma accolta, sostenuta, curata, amata.
E' quello che io voglio amare, incondizionatamente, è l'amo a cui il mio cuore indomito abbocca perché non c'è nulla di più straordinario della fragilità di un uomo quando questa accetta di non nascondersi per paura e di essere accompagnata in silenzio, senza forzature né saccenza.
Ma per il resto... sono allo specchio.


sabato 26 giugno 2010

odore di erba bagnata

Lei era bellissima, con quei lunghi capelli biondi legati dietro la nuca e due ciocche davanti lasciate sciolte a sottolineare i tratti morbidi e rotondi del viso.
Lei era dolcissima con quegli occhi azzurri come il cielo limpido delle mattine d'estate e le labbra sempre un po' socchiuse.
Lei era gentilissima con quei sorrisi pronti in qualsiasi circostanza, sorrisi cacciati da chissà dove con chissà quale forza di finzione.
Lei era tristissima, con lo sguardo basso, lacerata da un dolore che straziava le viscere.
Lei era la donna perfetta, come avrei potuto io competere con lei? Non avrei potuto e, difatti, non ho potuto.
Ho cambiato quattro volte il colore dei capelli, prima per assomigliarle e poi per distinguermi da lei, ne ho cambiato il taglio, ho indossato sorrisi di maniera e parole adeguate, mai troppo fuori posto. Ho scelto con cura la sciarpa da abbinare agli occhiali, ho indossato il tacco anche sotto pantaloni sportivi, ho tenuto a bada le mie idee e, quando non l'ho fatto, ho proposto la mia versione sempre con timore perché lui non mi allontanasse dalla scia del suo profumo austero... e non ho raccolto che tempesta, secchiate di indifferenza e durezza, tentativi di convincimento su di me che ero troppo debole per capire che era sul senso di colpa, sulle paure che lui insisteva per affermare la sua forza cieca e carica di rancore.
Lui era bellissimo, con i capelli nero corvino dapprima cortissimi, poi lasciati crescere in un'onda a coprire i piccoli occhi neri, due buchi di eternità in cui mi ero persa nell'istante stesso in cui fecero capolino attraverso il vetro appannato.
Lui era intelligentissimo, sicuro e fermo ma anche così bambino nel modo di ridere e di chiamare il mio nome... e il suo, il suo nome biondo.
Lui era bugiardo, anche, ma non lo dava a vedere.
E fu così, con quei modi da adolescente appena affacciato al mondo, che prese tutto di me,come una furia, un tornado silenzioso, un tornado con 12 anni di anticipo. Ho ascoltato le sue paure per ore e con la stessa pazienza ho ascoltato musica d'opera, l'ho aspettato e guardato dormire, l'ho sorretto, l'ho aiutato a dire basta ma io non ero abbastanza.
Lei era lì, con quei suoi capelli biondi e i suoi sorrisi tristi. Come avrebbe potuto lui rivolgersi a me? così poco bionda, con gli occhi scuri come semi di albicocca e i sorrisi spontanei di chi ride solo se lo vuole, con parole continue d'ottimismo instancabile... quanto poco sono in confronto a lei! quanto poco valgo ai loro occhi!
Ho iniziato a ripetermi che sono semplicemente diversa da lei ma è stato difficile accettarlo: lei l'eletta, io la povera scema lasciata lì nell'angolo in castigo, a piangere, per aver trovato la forza di chiedere una carezza o un abbraccio sincero... ovviamente negato tra insulti e brutte parole.
Ma è stato difficile fino a oggi che finalmente scopro il mio piccolo valore, probabilmente ancora poco definibile ma comunque presente.
Lascio loro la loro perfezione, i loro occhi bellissimi e i loro sorrisi, sinceri e di maniera; evidentemente la mia imperfezione spontanea non mi rende all'altezza del loro mondo di glassa, evidentemente quello che avevo da dare aveva per loro lo stesso valore di uno zerbino zuppo di pioggia.
Più che profumo di pesco sono odore di erba bagnata ma ho smesso da qualche settimana di piangere rugiada.
E adesso che mi ritrovo in una sera d'estate a sorridere nel vedere quanto siete belli e di talento, mi auguro per voi che possiate essere felici.... e sereni, come io lo sono adesso.

Alla vostra!

venerdì 25 giugno 2010

"Potevi almeno venire a prendermi con l'ombrello!!
Ma sei un gran maleducato!!
Guarda qua in che condizioni sono ridotta!
E poi se c'è una cosa che mi fa venire il nervoso sono le cene dal prefetto.
*igh*
Ecco, lo sapevo, mi è venuto il snghiozzo.
*igh*
Tanto mi viene sempre quando mi fanno fare una cosa che non mi piace *igh*.
Ma ancora non l'hai capito che per farmi contenta ci vuole così poco.. ?
Un bel gelato al cioccolato *igh* anche due,
una passeggiata insieme e quello che succede, succede!
invece a te..."
La vita è bella - Robero Benigni e Nicoletta Braschi

mercoledì 23 giugno 2010

Mentre guardo fuori dalla finestra con gli occhi ancora stretti a fessura, appiccicati dal sonno e le labbra un po' rosse, gonfie e rilassate, mi rendo conto che ci sarebbe molto da dire. Giro distratta il cucchiaino nella tazzina di caffè macchiato appena, sposto i capelli dagli occhi per prendere un po' d'aria, faccio una smorfietta sorridente stirando la bocca verso sinistra e penso che tutto questo è davvero strano: c'è un'altra persona al mondo, oltre zucchina, che si interessa della mia vita di ogni giorno e, a dispetto di tante dicerie sul tema, non è una donna... eppure c'è qualcosa che non mi basta, c'è qualcosa che non mi convince a dire "si", c'è qualcosa che manca e che mi manca.
Ma d'altra parte, se qualcuno mi chiedesse di definirmi l'unica cosa che potrei rispondere è che non so prescindere dall'ossessione e trovare qualcosa che mi appassioni al punto da ossessionarmi non è affatto facile. Non si tratta solo del colore dei capelli, della forma degli occhi, delle mani, si tratta di quel qualcosa di indefinibile che lascio nell'impossibilità di definire perché a me piace così, come ogni momento di inizio.
L'inizio è la curiosità, la scintilla, il motore che spinge a fermare lo sguardo sull'oggetto di incontro per più di qualche secondo distratto. Sarà per questo che provo sempre una strana nostalgia per gli inizi! come se, a posteriori, riuscissi a vedere possibili ramificazioni che nel momento stesso del principio non immaginavo neanche potessero esistere. Tutti gli inizi sono sistemati in modo meticoloso in qualche parte del mio cervello e sono tutti dettagliati da far paura. Tutti, nessuno escluso e, credetemi, è bellissimo questo! Perchè l'inizio viene prima di qualsiasi azione fatta, di qualsiasi sguardo, di qualsiasi parola, di qualsiasi decisione. E' lì, fermo, immutabile ma indefinito e indefinibile, a ricordarti l'avventura e gli occhi sorridono al ricordo.
L'inizio più della fine, la fine più dello svolgimento: lo svolgimento ha slancio adrenalinico infinitamente modesto rispetto a entrambi i punti cardinali anche se è vero che l'ossessione, la smania, può nascere in qualsiasi momento, non esattamente coincidente con l'inizio.
Oggi scrivo perché non ho nulla da fare e anche perché ultimamente, forse, sto pensando troppo e non trovo modo migliore per rassettare tutte le pezze colorate che ho tirato fuori dall'armadio della fantasia; alcune sono veramente stropicciate, dannazione! al punto che mi viene da chiedermi come ho fatto a ridurle in quello stato! altre sono sfrangiate, il tessuto è rovinato, rotto e quelle, forse, sarebbe meglio buttarle. Ma poi penso che il loro colore mi piace comunque e, quindi, le tengo lo stesso. L'altra sera mi sono ritrovata faccia a faccia con una cascata giallo ocra di fuochi d'artificio e ho pensato, con molta poca modestia, che quei fuochi fossero anche un po' per me che se potessi regalerei un fuoco d'artificio e un fiore a chi mi va nel momento stesso in cui mi va ma a me no... non a me.
Mentre affondo il caffè nello zucchero canticchio una canzone dei bee gees e penso che....

sabato 19 giugno 2010

Pot Pourrì

Anche il napoletano ha subito i graffi del passare degli anni, si è irrigidito, è diventato meno delicato e delizioso: oggi le esse sono dure, l'intonazione è cantilenante e marcata, volutamente stressante sulle "i" quasi a voler sezionare il dittongo della parola cielo per trasformalo in uno iato improprio.
A sentire le vecchie canzoni sembra di essere catapultati in un film degli anni 40 in cui il bianco e nero a malapena mostra lo scintillio dell'incresparsi accennato delle piccole onde e le voci degli attori strillano parole confuse per i vicoli di una città dal cuore pulsante ancora intatto; quei film dove le donne sembrano disegnate a mano, con i capelli raccolti in acconciature gonfie e appena boccolose e con indosso quei tubini che segnavano lo stringere della vita per esaltare il seno e il fondoschiena.
Mia madre me lo dice sempre e mi educa all'ascolto: "erano delle poesie, Angela, delle poesie bellissime, ascolta!". Mi racconta aneddoti, mi parla della città profumata e dai modi raffinati che adesso non esiste quasi più ma non mi riprende quando entrambe conversiamo in dialetto, forse perché non vuole che si perda del tutto la sua tradizione, che lei ha così poco vissuto. E io sento una tenerezza stringente quando mi accorgo che con le strofe di queste poesie musicate riesco a immaginare tutto quello è descritto: il cielo sereno dell'estate, il venticello leggero, le ciliegie, la fronte corrucciata dell'innamorato, le lacrime dell'abbandono, i fiori dai colori delicati, la luna e il profumo del mare, bellezza in frantumi che ho, talvolta, avuto modo di vedere con gli occhi incantati di una bimba viziata dai biscotti delle nonne.
Era di maggio, quando la pioggia salutava per qualche mese le strade strette del paese, che cominciava la festa con l'entusiasmo unico delle adolescenti naturalmente maliziose e dall'ingenuità ancora morbida. Le mani e i piedi si sporcavano di terra, il sole bagnava la pelle della sua stessa essenza e solo l'acqua fresca delle bacinelle con i pomodori a lavare riuscivano ad alleviare la calura. I sorrisi che parevano non finire mai, le carezze di una nonna indomita, gli insegnamenti, i motorini, il campo di calcetto...
Avere una casa che dà la sua piccola terrazza sul Golfo di Castellammare ha un valore diverso dalla semplice bellezza; porta un incanto che se non lo si tocca con mano non lo si può capire.
Per questo, nonostante il deturpamento colpevole che rende arrabbiati e fa sentire impotenti, non è possibile per la mia testa rimanere lontana da quel posto per troppo tempo.
Se da qualche parte in me è nascosto un romanticismo misurato ma dolce lo devo a quella sensibilità antica che più che descrivere la realtà aspira a un sogno.

mercoledì 16 giugno 2010

Il musico e la fata

Sul far del giorno.

Il musico dalle scarpe nero vernice si accostò alla ragazza dall'abito bianco; qualsiasi cosa avesse fatto in quel momento sarebbe stata giusta e, se non giusta, giustificata. Lei si voltò per rendersi conto di cosa fosse il fruscio alle sue spalle, lasciate nude dalla scollatura del vestito e, alla vista di quei capelli neri e lunghi, raccolti in una coda disordinata, tacque.
Era un uomo indecifrabile, lo era per tutte le donne che aveva amato, per un periodo o una notte soltanto; era una colomba maledetta dagli artigli di un falco, una presenza scura e inquietante ma dall'attrattiva inspiegabile.
Il musico si fece avanti sicuro e le prese la mano.
- " Te lo leggo negli occhi che hai i miei pensieri in questo istante, lo percepisco dal tremore delle tue mani, dal tuo respiro impercettibilmente affannoso. Non temere di sbagliare, non avere paura di me."
- "Tu menti", rispose lei, lapidaria.
- "Non mento".
- "Tu menti", ripetè lei.
- "No, non mento".
- "Sai bene che io e te non possiamo appartenerci. Tu sei un musico e io una fata."
- "Io non voglio appartenerti, voglio soltanto unsoffio della tua anima e qualche ora della tua vita, mi basta questo."
- "Ma perchè? Perché non riesci a capire che io ti voglio bene?"
- "Perché non me ne faccio nulla del tuo bene, non ha importanza per me, non mi serve adesso. I tuoi capelli lunghi, rossi, hanno la stessa bellezza di quelli di un'altra, la tua pelle bianca lo stesso candore di un'altra e il tuo sorriso una dolcezza che in questo momento mi rapisce e, per stasera, mi fa scegliere te ma stasera e non domani. Domani sarà diverso, forse. Tu, però, sei qui e questo conta"
- "Non capirai mai il valore dei sentimenti tu, mi fai tristezza. Non si vive senza amore, senza rispetto per gli altri. Tu non vivi, tu sei cieco e sordo."
- "Non sono né cieco né sordo. Sono semplicemente diverso da te. Tu hai bisogno di discorsi, di carezze, di giorni, di attenzioni, io ho solo bisogno di attimi. Potrei mentirti dicendoti che potresti avere un ruolo nella mia vita ma non voglio farlo, non con te che sei così pura, così troppo per me."
- " Tu hai paura". Disse la fata.
- "Ahahahahahahahahaha!" il musico irruppe in una risata demoniaca che squarciò il silenzio seguito a quella fantasiosa affermazione.
"io, paura? Non ingannarti con queste scuse, non inventare realtà che non esistono per convincerti che potrei amarti. Io non ho paura, io non ho voglia ed è ben diverso. Per me tu sei un esserino inanimato, qualcosa che si muove come me ma che io userei per giocare, niente di più. Sei un bisogno piuttosto basso, una compagnia di brace, non di cielo. Io vivo per i miei tasti, vivo con me stesso, fondamentalmente. Non c'è altro spazio."
- "Eppure la tua musica è meravigliosa...." riprese lei sottovoce. "Se solo tu mettessi un frammento dell'anima che metti quando le tue mani sfiorano quei tasti, se solo tu lo mettessi nel pensare cambierebbe tutto, ne sono certa."
- "affinché le cose cambino tu devi diventare una strega, una strega sanguinaria. Sei disposta a farlo?"
La fata riflettè sulle parole del musico.
- "Sì, anche solo per una notte".
- "E' già mattino, non vedi che nasce il sole? Dovrai accontentarti di un attimo, a me basta"
E la baciò ma lei lo allontanò.
- " Io non ti voglio per un attimo, io ti voglio per me, sempre! voglio che la tua musica sia la mia sveglia e la mia ninnananna, voglio che le tue mani si dedichino solo a me e non ad altre, voglio che tu prenda il bene che ho da darti capendo che è prezioso"
- "Se è questo che vuoi, lasciami stare. Io non faccio per te. Tu hai l'anima troppo candida per trasformarti in una strega e, a questo punto, sono io a non volere che tu lo faccia. Se tu mi avessi per una notte non ti daresti più pace, meglio allora che rimanga tutto solo nella tua testa. Non voglio avere il tuo cambiamento sulla coscienza, sarebbe una responsabilità troppo grande per me che di responsabilità non ne voglio affatto. Preservati così e dimentica"
- "Addio"
- "Addio".
Il musico pianse una sola lacrima di sangue vedendo la fata allontanarsi da lui. Sapeva che sarebbe tornata, lo aveva capito dal quel tremore nella voce ma sapeva altrettanto bene che l'avrebbe allontanata ancora.

Non si può competere con la musica quando questa riempie ogni centimetro del corpo; la si può affiancare provvisoriamente ma sostituire no, mai.


martedì 15 giugno 2010

Vampiro di Respiri.

Respirami. Respirami nell'aria che respiro, trattienimi tra le narici e la fronte così che io possa rimanere sospesa nei tuoi sensi, in equilibrio sul filo delle sensazioni controverse, a cavallo tra senso immediato e ragione, nel groviglio delle tue alchimie chimiche. Mi sentirai vagare come un piccolo verme appiccicoso ma non lascerò traccia di me perché non amo farlo. Poi soffiami via, lontano, catapultata in un vento di negazione profonda dalle trame di desiderio negato, taciuto o manifestato. Lontano dai tuoi sensi e dalle tue mani, ragnatele troppo spesse per potermi divincolare, per poter scappare... oltre il muro di una fisicità imponente affinché io possa sentire il bisogno di averti.
Ma per me questo viaggio sarà un tarlo, come il ticchettio dell'orologio della mia camera che è fermo ma batte i secondi, lasciandomi un senso di impotenza serena: il tempo scorre anche se io sono ferma, coperta da lenzuola bianche a fiorellini e da un velo di desideri nascosti.
Come io respirerei e tratterrei ogni tua particella, la tratterei come fosse una pietra preziosa, con la stessa meticolosa cura, con la stessa paura di furto, con lo stesso insistere.
Io al momento non respiro. Non ci sono profumi che rapiscono i miei sensi, non ci sono attimi che rubano la forza alla mia volontà di opposizione razionale, non ci sono momenti da incidere sulla pagina quasi voltata dei ricordi.
Mi chiedo quando ricomincerò a respirare come amo respirare, a pieni polmoni, quando riuscirò a inebriarmi del gusto che potrebbe rendermi, finalmente, mansueta e soddisfatta. Un vampiro di respiri. E' questo che mi sento. Necessito di respiri per poter respirare, necessito di alchimie, necessito di pugni allo stomaco. Senza questo, tutto è nulla. Rassegnarmi a prendere quel che viene per investire sul futuro non è ancora nei piani di sistemazione della mia vita da persona meschinamente normale, priva di slancio artistico, priva di fascino apparente. Ma la settima alba è arrivata anche per me, adesso che i profumi passati non sono più nei sensi e una volontà di riscatto rinvigorisce le forze.
Quando mi respirerai, figura non ancora conosciuta, sagoma che non ha nome, non ha volto, non ha carne? Quando potrò vederti affiorare dalle acque scure di questo insieme di insensatezza, di motivazioni negate o falsate? Quando verrai per potarmi via con te, per accettare che io ti porti via con me? Quando potrò finalmente sfiorare il tuo viso senza tratti, collage scomposto di attimi sfuggiti e passati? Viso forse segnato dal dolore eppure ai miei occhi meravigliosamente bello? Quando, quando?

giovedì 10 giugno 2010

La Vie En Rose (Melanie Fiona Rosato Remix) - Melanie Fiona famoso spot ...


Ok, ok, questa cover è certamente un atto criminoso.
Siamo d'accordo... però... mi diverte.
Ci sarà pure un motivo se mio fratello sostiene che ogni tanto
lascio in libera uscita i miei gusti di... merda (si può dire? ah, non si può dire?
Chiedo scusa allora). Pardon.

martedì 8 giugno 2010

lunedì 7 giugno 2010

Concordo. Concordo con chi mi ha detto: "se vuoi davvero qualcosa va' e prendilo, anche se non sai dov'è nel momento in cui senti di dover andare a prenderlo, anche se non sai se è con qualcosa... o qualcuno... o se, semplicemente, è solo; anche se non sai come reagirà vedendoti arrivare. Vai e afferralo perché, se non lo fai, sarà rimpianto e un ricordo che diventa rimpianto non è un ricordo da tenere stretto."
E' una logica molto da film americano, c'è da ammetterlo, e presuppone che il caso sia dalla tua o, forse, presuppone semplicemente una goccia di ottimismo in un mare di "se". Di qualunque cosa si tratti, umana o materiale, non è mai sensato sprecare il tentativo, nonostante la paura di non farcela, di sentirsi inadeguati, nonostante i cali di zuccheri e la pressione ai minimi storici. E' una questione squisitamente probabilistica, matematica: C'è il 50 % di probabilità che vada e il restante half past che vada male. Comunque vada, va: prende una direzione e segna il cammino da fare per tornare all'ovile. Oh beh, concordare con una teoria simile è certamente una cosa romantica; reca più o meno lo stesso romanticismo di starsene seduti sulle scale del Vittoriano a guardare il miracolo di Roma ripetersi senza bisogno di spinte, di meccanismi, di ragionamenti. Roma vive, indipendentemente, un po' come il cuore, che è un muscolo involontario fisiologicamente parlando ma anche in modo figurato; supporre che ci siano meccaniche casuali dietro quel delirio di passi e di espressioni del corpo rende tutto ancora più interessante, più intrigante, più colorato. Anche quelle persone provano, provano ogni istante della loro vita, nel piccolo e nel grande, ognuno per una ragione tutta singolare e particolare. Che poi, è così, è inutile imbronciarsi: ognuno ha la sua scheggia di ragione... o pretende di averla, come se, nel complesso di una verità inavvicinabile perché frantumata in mille quadratini, il proprio pezzettino sia il più bello, il più rispondente alle aspettative... o, soltanto, quello più strambo. e ognuno, per quel pezzettino, mette in ballo sé stesso, anche impercettibilmente; un caos di involontarietà sorretto da un busto di scelte microscopicamente volontarie. prendere e alzarsi per andare ad afferrare qualcosa che non abbiamo tra le mani è un insieme di piccoli atti di volontà di cui il primo è certamente ammettere che è importante per noi avere quel qualcosa tra le mani. Il problema sta proprio nel riuscire ad ammettere che, per ragioni sconosciute, quel qualcosa ci è, in qualche misura, indispensabile, ci rende la vita più allegra, più leggera, più viva; e ammettere è tanto più difficile quanto più si ha misteriosamente a che fare con qualcosa che a prima vista (o andando a fondo) pare così diverso da noi. A questo proposito mi viene da pensare: ci sarà pure una ragione se, in alcuni studi americani, le donne sottoposte a un test olfattivo di magliette sudate di uomini hanno chiaramente mostrato la tendenza a essere attratte dal geneticamente "diverso", e si sa che i geni modulano non soltanto caratteristiche prettamente anatomiche o fisiologiche. Ma queste donne, vedendo gli uomini, ammetterebbero mai di essere attratte da loro? forse no, sarebbero frenate da qualche scampolo di ragione e prima di ammettere una cosa simile passerebbe un bel po'.
A parte gli strani esperimenti, qualcosa mi suggerisce che molto sia riconducibile alla volontà e sono più che disposta a credere che nulla sia opera distillata del caso.
Non c'è mai stata casualità neanche nella sua preferenza per i capelli lunghi e biondi; nell'apparente caso dipendente dal bisogno c'era una voglia ben precisa e sospetto che così sia ancora, per quanto la cosa non mi riguardi più da un po'. Ad ogni modo, potrei continuare a scrivere per ore ma non mi sembra il caso. Però chiuderei così:

(Sono una piccola ape furibonda.)
Mi piace cambiare di colore.
Mi piace cambiare di misura.

- Alda Merini -



- "Abbi una felicità delirante"
- "Vedrò di fare il possibile."
dal film, Vi presento Joe balck.

mercoledì 2 giugno 2010

Vinicio Capossela-resta con me



"Mi ha svegliata l'agenda del cellulare, ho messo un piede giù dal letto ma un secondo dopo ero di nuovo con tutti e due i piedi sotto le coperte; poi, però, mi sono detta "su, coraggio! è ora di fare il saltino giù dal materasso" ed ero in piedi. Connettere appena sveglia è veramente un'impresa quasi impossibile, specialmente quando i sogni sognati la notte si muovono ancora confusi nella testa per prendere posto in qualche parte dell'ippocampo così da non disturbare durante il giorno. Ma c'era qualcosa di diverso nei sogni di stanotte, sembravano consigli.. sì, consigli, ma non ricordo riguardo cosa.

Sto esercitando il mio cervello, come sempre, ed è stato proprio questo che mi ha fatto capire perchè anche i ricordi più lontani siano in me tutti così vivi, dettagliati, emotivamente del tutto fedeli alla prima impressione. Medina dice: "il ricordo si consolida richiamando alla memoria” cazzo! allora io penso “ questo vuol dire che ricorderò sempre tutto, ma proprio tutto, in HD?- "ma no, sciocca! basterà non richiamare alla memoria” risponde lui. Ok, ci sto. E se me lo consiglia lui non posso che fare come mi dice. Ma poi, però, è così fondamentale dimenticare? “certo che lo è!il cervello ha bisogno di spazio, di aria! Ma fa tutto in automatico, non ti ho insegnato nulla??!” sempre Medina che parla. Avoglia se mi hai insegnato! solo che alcune cose sarebbe bello ricordarle! altrimenti si riduce tutto a un continuo svuotamento. Ad esempio, oggi è il 2 giugno, il compleanno di Rosanna e stamattina, appena aperti gli occhi, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato questo stesso giorno di due o tre anni fa: erano le dodici più o meno, io stavo cercando di imparare le formule di chimica farmaceutica mentre la tv era accesa sulla parata militare (a mio padre piacciono tanto le parate militari ma a me fanno veramente cagare.. tutte quelle uniformi, quel passo del cavolo, COORDINAZIONE, ecco! sì, coordinazione....) e io le ho mandato un messaggio di auguri. E' stato carino ricordare questo fatto! se non ci avessi pensato mai dopo quel giorno, probabilmente lo avrei dimenticato! o forse no, visto che, come sostiene la tua teoria, il ricordo è direttamente proporzionale all'emozione che accompagna il ricordo stesso. "bravissima!". Grazie John, non sai quanto è bello sentire complimenti al superlativo! Ad ogni modo, il fatto che io abbia la corteccia pre-frontale troppo attiva mi porterà a ricordare sempre tutto? "ma no, ti porta soltanto ad essere un po' più passionale e focosa degli altri. ti accendi con poco e il fuoco è bello vivo, ma per risolvere basta buttarci su dell'acqua!"Dell'acqua John? (perchè posso darti del tu, mio mentore, vero?) ma qui ci vuole proprio un estintore! sapori, profumi, odori nel vero senso della parola, tutti imput neurochimici che in me hanno un effetto devastante... ma questi prima o poi dovrebbero passare sotto la voce "dimenticato"!" “eh, no, mi spiace ma queste sono proprio le cose che non si dimenticano! Ricordi l’esempio delle lasagne della nonna? Ok, lo ripetiamo. Senti un po’ qui: quando eri piccolina, la nonna cucinava sempre le lasagne, che a te piacevano tanto ma poi non le ha preparate più per tanto tempo. Un giorno qualsiasi di un qualsiasi anno molto lontano dall’ultima abbuffata, sei a lezione e, mentre il professore spiega, senti un odore molto simile a quello della lasagna della nonna. E bene, grazie alle lasagne della nonna, anche molto dopo quella lezione, ricorderai esattamente cosa il professore stava dicendo in quel momento. Le lasagne hanno mandato quelle parole in PTL, in Long Term Potentiation!!! Ed è cos’ per gli altri profumi, le altre emozioni.. non si ha scampo, col cervello!” "ma porca miseria! allora sono veramente spacciata! ahahahah" - "al contrario! i miei discorsi dovrebbero rassicurarti! la maggio parte di quello che viviamo finisce nel dimenticatoio e, male che vada, finisce il PTL! quindi, non avere paura delle tue passioni, anzi, vivile! e vedrai che il tuo cervellino ti ringrazierà!

Accendo il pc, comincio ad ascoltare qualche canzone di Vinicio, rimando due o tre volte "resta con me" e poi provo a convincermi a preparare la valigia. Magliettine, gonne, spazzole, profumo. Medina sa come convincerti a vivere, a funzionare nel modo corretto, a essere un cervello acceso e moderato. Il problema è che a me la moderazione non è mai piaciuta, con limite a 50 vado sempre a 13o e chissà perché! forse più che di un cervello correttamente pensante avrei bisogno di un'entità che il pensiero non sa neanche cosa sia. Zucchero per il mio cervello non è altro che la sincerità e questo zucchero riesce ad attraversare la mia barriera ematoencefalica con una facilità disarmante!E tutto può essere zucchero! "un cervello libero è un cervello correttamente funzionante". porca miseria, allora sono un genio!!! "non esagerare, adesso... fai un saltello?"mi alzo dalla sedia e lo faccio, un momento, Medina.. fatto!! "Bene, sai il fatto tuo, ragazzina! ma adesso, anche se questo pigiamino rosa ti dona, non credi che sia il caso di andarti a vestire? non cominci a sentire un po' caldo?"Mi alzo dalla sedia, ma prima finisco di ascoltare la canzone che sto ascoltando. Un cervello libero è un cervello correttamente funzionante, quindi il mio dovrebbe funzionare bene ma sono sicura che funzionerebbe ancora meglio se riuscisse a trovare un cervello randagio, completamente fuori, un cervello con cui correre e ridere, senza lacci, per tutto il tempo che i due cervelli lo consentono, o meglio, lo vogliono. Questo è tutto quello che cerco, questo è quello a cui io direi, per una sera o mille "resta con me questa sera e balla ancora... etc, etc, etc".

lunedì 31 maggio 2010

"cellula artificiale - vita artificiale". è davvero così?

Cerchiamo di fare un po' di chiarezza: cos'è una cellula artificiale e cosa ha fatto Craig Venter, uno dei biologi molecolari più famosi e certamente il più discusso, il padre del sequenziamento del genoma (Progetto Genoma Umano) mediante la tecnica shotgun sequencing.
Qualche settimana fa, Venter è riapparso con un nuovo sconvolgente annuncio: "ho creato una cellula con un DNA sintetico perfettamente replicante" e i sistemi di informazione hanno subito chiamato questa nuova scoperta "cellula artificiale, vita artificiale". Ma cos'è, con esattezza, una cellula artificiale? Come suggerisce il termine stesso, una cellula artificiale è qualcosa di programmato, stabilito in laboratorio e completamente non naturale, capace di crescere in modo corretto e riprodursi esattamente con la stessa efficienza di un apparato cellulare complesso naturale. Ma quando si parla di una "cellula artificiale", l'immaginario collettivo di chi non sa bene di cosa si stia trattando, corre subito a prefigurare un qualcosa che nasce da un imput artificiale e che si sviluppa da sé fino ad assumere la grandezza, la forma e tutte le altre caratteristiche tipiche di una cellula naturale. Ecco, quanto appena descritto è ciò che Venter non ha fatto. E cosa ha fatto allora? per capirlo è necessario guardare alla storia che ha portato alla costruzione di un genoma "artificiale". Terminato il "Progetto Genoma Umano", Venter cominciò a pensare alla possibilità di sintetizzare in laboratorio sequenze di DNA non casuali ma funzionanti, codificanti, sequenze comunemente conosciute con il nome di "geni". Dopo svariati tentativi, si accorse che alcune delle sequenze sintetizzate attraverso l'utilizzo di un apposito (costosissimo) macchinario, erano effettivamente codificanti; questo successo lo portò ad immaginare la possibilità di costruire un intero genoma sintetico funzionante, progetto perfettamente riuscito a cui Venter e il gruppo del C. Venter Institute hanno lavorato instancabilmente e con caparbietà per dieci anni, tra lo scetticismo di una grande fetta di biologi molecolari; lo scetticismo era legato a due aspetti, fondamentalmente: 1) è pressoché impossibile riuscire a trovare lunghissime frasi di senso compiuto (il genoma) con sole 4 lettere (le basi azotate: adenina, timina, guanina, citosina"); le combinazioni sono miliardi e trovare una sequenza di geni codificanti non è cosa da poco.
2) 10 anni per condurre l'esperimento non basterebbero, un progetto di questo tipo occupa un lasso di tempo certamente maggiore.
La grandezza di Venter sta proprio nell'aver abbattuto le barriere di questi due punti e così, dai primi risultati riguardanti i geni, si è ottenuta una intera sequenza, passando per l'intermedio "cromosomi"
Da sempre Venter aveva accarezzato l'idea di riuscire a costruire sistemi (batteri) capaci di degradare il petrolio in mare o catturare l'anidride carbonica riducendo l'effetto serra, applicazioni vantaggiose dal punto di vista sociale, economico ed ambientale, dunque. Fu così che, durante i suoi viaggi in terre come l'Egitto, Venter prelevò campioni di batteri che sarebbero poi serviti per essere "testati" e "modificati" in laboratorio; ed è proprio questo che ha portato alla creazione di questa cellula artificiale. Perchè? Perché Venter ha inserito un DNA sintetizzato artificialmente in laboratorio in una cellula batterica già completamente formata, deprivata del suo naturale DNA, dando vita a un nuovo batterio con funzionalità specifiche: il Mycoplasma Laboratorium.
La genialità di Venter, infatti, si è dimostrata nella costruzione di un DNA sintetico, sì, replicante,sì, ma soprattutto recante delle sequenze che permettono a questo nuovo batterio di fare cose che gli altri batteri non possono fare, delle sequenze ad hoc che sembrano perfettamente integrate nel genoma complessivo e, che, quindi, conferiscono caratteristiche particolari; il tutto a partire da combinazioni di basi azotate fatte da una macchina. Qui sta la meraviglia di questo lavoro: progettare un DNA funzionante, in modo "soggettivo", "finalizzato".
Ora, più di una volta ho ripetuto il termine "DNA replicante". Perchè? Perchè questo è fondamentale ai fini della scoperta: un DNA che si replica correttamente e che, oltre a replicarsi correttamente, funziona correttamente (ossia è in grado di dirigere senza errori tutti i miliardi di processi biochimici che si svolgono nella cellula al fine di una corretta crescita e riproduzione) da alla cellula la garanzia di potersi moltiplicare. Il Mycoplasma Laboratorium, infatti, si è duplicato fino a formare una colonia (le cellule presentano un colore blu). Quindi, riassumendo, cosa ha fatto Venter: ha sintetizzato in laboratorio una sequenza genomica completa, la ha trasferita in una cellula batterica deprivata del suo DNA e ha osservato che questa nuova cellula (come già detto, diversa dalla precedente per specificità di funzione) riusciva a crescere e a duplicarsi correttamente.
Venter ha parlato di una radicale svolta sia a livello biologico che a livello filosofico perché pone le basi per una revisione della teoria creazionista. Io credo che sia ancora prematuro parlare in questi termini. E' certamente una scoperta meravigliosa dal punto di vista tecnico, il livello più alto che potesse essere raggiunto dalla biologica molecolare e l'applicazione di tale scoperta dal punto di vista ambientale e industriale potrebbe rivelarsi estremamente vantaggiosa per tutti noi. Ma resta il fatto che è una sequenza formata trapiantata in qualcosa di già formato. Ok, il fatto che tale DNA abbia la capacità di dirigere tutti i processi molecolari rende il confine tra formato e non formato molto sottile, ma sarebbe certamente diverso parlare di un qualcosa che si dirige da solo fin dal principio assoluto. Dal punto di vista dell'applicazione in campo medico/terapeutico, anche per questo siamo ancora molto lontani. Quella sintetizzata da Venter è, infatti, una cellula batterica con DNA eucariote ma comunque batterica. La messa a punto di una cellula compatibile con il sistema "uomo" è molto difficoltosa, perchè deve tenere conto di una serie di processi e di reazioni fisiologiche tipiche delle cellule degli organismi superiori: l'inibizione da contatto (per cui sono necessarie determinate molecole chimiche che fungono da messaggeri), l'ipersensibilità che provoca reazioni di rigetto ( a meno che non si costruisca un genoma che rechi geni compatibili con il sistema MHC del soggetto ricevente). Ad ogni modo, sono frontiere improbabili da raggiungere nell'immediato futuro.
Per quanto riguarda, infine, la formazione di interi organismi a partire da una cellula sola siamo ancora nel campo della fantascienza. La costruzione di un organismo è un processo indicibilmente complesso che non è ancora contemplabile a partire da una scoperta, per quanto stravolgente, come quella di Venter.
Come è facilmente prevedibile, tutto questo ha sollevato molte polemiche e, soprattutto, ha aperto il dibattito etico: "è giusto, non è giusto" e la nascita di due frange di opposizione ideologica di biologi molecolari. C'è chi sostiene infatti l'assoluta grandezza della scoperta di Venter e chi, invece, è decisamente scettico.
Per formarsi un'idea bisogna conoscere. Spero che questo post senza pretesa possa avervi aiutato a capire qualcosa di più di "come sono andate le cose".
Sapere è potere!

Angela.

sabato 29 maggio 2010

angela.



Sai quel bruciore al petto, quello stato di apatia confusa mischiato a un continuo cadere di lacrime... ecco, quello. di nuovo, una volta ancora. e l'unica cosa che vorrei ascoltare è il suono del silenzio.

Voglio bombardarmi di vuoto.

Per sentirmi meno brutta, per sentirmi meno inadatta, per sentirmi meno sciocca... e, paradossalmente, anche meno sola.
Muovo un passo dopo l'altro, piano, come se camminassi su frantumi di vetro e sento scricchiolare i pensieri, uno a uno, ogni pensiero accompagnato da una fitta fisica allo stomaco. Perchè? Non c'è un perché. E' così e bisogna starci, continuo a ripeterlo per farmelo entrare in testa anche se tutto quello che avrei sperato va esattamente dalla parte opposta al ragionamento.
Fatemi ascoltare in pace il suono del silenzio e fatemi anche ricordare l'uomo ormai lontano un anno che è stata la causa di tutto questo e che ha lasciato uno strascico invisibile all'occhio ma ingombrante come poche altre cose per la mia anima.
la domanda successiva è: "perchè io no?" ma preferisco non rispondere.
La storia si ripete ancora e io non riesco più a sopportare il rumore delle parole perché nessuna parola è dolce, nessuna dice quello che io avrei voluto potesse dire. Ecco, questi momenti sono esattamente quelli che avevo imposto a me stessa di non avvicinare più, neanche per sbaglio, e, invece, ci sono finita un'altra volta. E non immaginate neanche quanto possa essere avvilente.

http://www.youtube.com/watch?v=sjzdI440W6U

Non me ne volete ma adesso devo stare sola.

martedì 11 maggio 2010

A Chiara.

Tutto questo silenzio, tutto questo rumore intorno; e il sole sembra non bruciare come invece fa. ma poi ti guardo negli occhi e tutto mi sembra migliore. Non sei più un personaggio del mio mondo immaginario, non sei più un'ombra, quella specie di figura indefinita che era rimasta attaccata alle suole delle mie scarpe per una coincidenza fortunata. Sei un passo concreto, quello che io cercavo di scacciare per via del terrore dei vincoli... il tuo laccio non mi strozza, mi mette in condizione di ridere sempre, di sentirmi leggera e unica, anche quando qualche antropologo dalle scarpe orrende cerca di attaccare bottone vedendomi pensierosa. Solo tu conosci i miei pensieri più profondi e sono felice che sia così. Vederti piangere alla mia laurea è stata una delle cose più belle della mia vita, perché entrambe sappiamo cosa quel giorno abbia significato veramente. Avevo in mente un'altra puntata del nostro racconto ma poi mi sono detta: perché affidarmi alle parole di un personaggio figlio di un'idea? Non ti avrei reso giustizia, non come meriti. Ci ho messo quasi un mese, sai che i miei tempi sono un po' lunghi e, soprattutto, sempre pieni di miliardi di rivoluzioni effettive e apparenti; però oggi, finalmente, scrivo della mia fiducia incondizionata, cosa che cerco di dimostrarti ogni mercoledi e giovedì alle aulette blu ma che sento di dover mettere anche su un foglio, perché so che ti piace fare parte delle mie parole e forse anche perché sono qui a sentire canzoni su youtube e un po' mi manchi.. Come sarà non possiamo saperlo però se adesso mi cammini affianco non c'è più motivo di voltarci indietro, basterà allungare la mano di lato.
"Io sono una valigia e giro di stazione in stazione, in molti mi trasportano ma in pochi hanno la combinazione".