sabato 4 dicembre 2010
Diario di viaggio (1) - Praga.
Saranno state le parole sempre ripetute su Praga ma effettivamente l'aria sapeva di sesso sommerso, rubato, nascosto o manifesto tra le strade e i fritti con cipolla. D'altra parte, non è sconosciuto agli occidentali questo aspetto della cultura dell'est; le donne più belle del mondo si concentrano in quest'area del pianeta e, a ciò, si aggiunge il fatto che tale loro dote naturale abbia portato alla valutazione della donna come oggetto fonte di guadagno, uno splendido oggetto da presentare al turista che, spesso, si muove unicamente per questo motivo.
L'impressione prima che ho avuto è stata che tutto avesse un odore diverso da quello di casa ma non sgradevole.... semplicemente diverso. Ci aveva accolti una pioggerella leggerissima, fina, così sottile che, per la prima volta in vita mia, non sentivo la smania di aprire l'ombrello, bastava il cappuccio. Il nostro interprete cercava di comunicare con Marco, l'unica persona in grado di parlare l'inglese in modo fluente mentre io restavo immobile a sentire, fingendo di essere immersa nella mia bolla di incomprensione comunicativa.
Credo che il grado con cui riusciamo a a stupirci sia direttamente proporzionale alla disponibilità dell'anima a rimanere stupita e inversamente all'ingombro di pensieri nella testa. Io mi trovavo nel mezzo, per entrambe le condizioni; per questo, l'impatto non fu dei migliori ma presi presto confidenza con quel cielo pesante di tonalità di grigio e basso e con tutte quelle guglie che sapevano tanto di romanzo di fantasia. Salì presto l'ansia di fotografare ogni centimetro della città, per far sì che gli affetti che avevo lasciato a casa potessero vedere con i loro occhi tutto quello in cui ero stata catapultata per poi riuscire a sentire, attraverso le mie parole, i profumi, le sensazioni, l'euforia di quei giorni. Charle's Bridge, la Moldava, Piazza dell'Orologio, il Castello diventavano sempre più familiari, al punto che mi riusciva perfino facile orientarmi benché le insegne e la cartina esclusivamente in ceco non aiutassero nei movimenti. Quello che mi ha lasciata un po' a metà sono state le strade quasi sempre deserte, fatta eccezione del centro, e la freddezza della gente del posto, piena del proprio lavoro e di un distacco assoluto... non so dire se sia davvero così o se sia stato un problema mio, che amo in massimo grado l'espansività e la solarità solidale. Tra tutti, però, c'è stata un'eccezione: Linda, una ragazza bionda, esile e con due occhi azzurri furbi e allegri, che lavora come cameriera nel ristorante italiano Buschetto, a Piazza San Venceslao. Parla benissimo l'italiano perché ha vissuto cinque anni qui da noi e ci ha fatto sentire a casa quando, dopo una scorpacciata di confusione mentale per un contesto incomprensibile, avevamo bisogno di qualcosa che parlasse la nostra stessa lingua e portasse addosso il nostro stesso odore.
Il fatto che la gente non camminasse per strada, però, mi aveva fatto impuntare e, così, ho chiesto spiegazioni ad Ales, il nostro interprete in inglese. Ales mi ha spiegato che quello che si vede fuori non è quello che c'è dentro: il clima molto rigido ha plasmato, comprensibilmente, le abitudini delle persone che non possono girare a piedi quando il freddo è così penetrante da tirare giù le orecchie; così, mentre le strade si svuotano, i locali si riempiono, che si tratti di ristoranti, pub, pizzerie, centri commerciali, negozi, non importa. Da ciò si spiega anche l'attenzione massima per il design: ogni locale è curato nei minimi dettagli, arredato con mobili e oggetti originali e sempre di senso nel contesto in cui vengono posti. Abitudine diffusa è quella di appendere o attaccare oggetti al soffitto: non è raro alzare lo sguardo e trovare appesi quadri, vasi con piante in una composizione d'edera e, addiritturam pianoforti e fisarmoniche!
Il centro, invece, dal canto suo, è sempre pieno di persone tra le strade, turisti che si muovono tra i mercatini e i monumenti e che si ritrovano tutti, alle 12 in punto, a piazza dell'Orologio per assistere allo spettacolo della danza della morte: un trombettiere, in un costume a strisce rosse e gialle, sale fin sulla Torre e comincia a suonare mentre le finestrelle, immediatamente sopra il grande orologio astronomico dalle sfumture blu e oro, si aprono per far sì che possano essere esposti i dodici apostoli che si presentano in fila, uno dopo l'altro, sei da una finestrella e sei da un'altra. La morte, sul lato destro della Torre, ricorda la sua presenza attraverso un teschio che batte rintocchi veloci sul suo campanello. Tutto si svolge nel giro di pochi minuti e, a spettacolo concluso, la folla radunata abbassa lo sguardo e si disperde, di nuovo, tra le stradine pulitissime del centro.
Non è stato triste tornare a casa... dopo un po' avevo cominciato ad avere di nuovo bisogno di sole che, a Praga, è sempre rimasto timidamente nascosto dal fitto manto di nubi.
Atterrati a Fiumicino e, poi, in macchina verso casa, l'unica nostalgia è stata per quel senso di sospensione a mezz'aria che ho provato sull'aereo, quella sensazione di essere davvero al di sopra delle nuvole, al di sopra di tutto, quelle nuvole che adesso potevo guardare solo rimanendo imbambolata con il naso all'insù.
Il bilancio è assolutamente positivo, nonostante all'inzio non credevo potesse esserlo. A me succede sempre così: mi innamoro di tutto ciò che a prima vista non mi piace e Praga non ha fatto eccezione.
lunedì 1 novembre 2010
L'altro ieri ero a Via del Corso, con una compagnia diversa, ma la sensazione era la stessa: l'invidia per tanta bellezza sfuggita eternamente al tempo lasciava in bocca un sapore dolcissimo e tra i sensi uno strano torpore d'abbanono. Scrivere non basta per rendere l'idea; la mia penna non ferma che qualche piccolo frammento di pensiero ma non sa tirare la linea nel tratteggio.
Vorrei saper disegnare con questo inchiostro tutto quello che sento ma so che non è abbastanza florida la mia vena "artistica".
Mi piacerebbe riparlarne con te... che sei matto da legare ma straordinariamente parte del mondo.
giovedì 14 ottobre 2010
parole, parole, parole.
Le parole sono l'arma più subdola che l'uomo abbia a disposizione e significano soprattutto quando si fanno attendere: non rispondere è una risposta più valida della risposta manifesta perché indica un non atto e, dunque, una posizione netta.
La comunicazione verbale è ciò che consente scambi "umani" più o meno semplici e veicola messaggi senza difficoltà interpretative ma, proprio in questa scontatezza consumata nell'uso quotidiano, ha luogo la tragedia della sottovalutazione del loro potere intrinseco.
Sono molto rattristata per l'utilizzo improprio di termini con un valore incalcolabile perché, tale abitudine massiva, mi lascia la sensazione che nulla abbia più peso: tutto è alla mercé di una esaltazione globale, per giunta finta, attraverso cui tutti sembrano delle grandi personalità luminose. Ma che tristezza quando, invece, ci si accorge che la verità è diversa! altro che anime luminose; sono solo abbagli, specchi per le allodole.
Chiunque sia consapevole delle parole è detentore della delicatezza dell'essere: nessuno che abbia rispetto per un altro caricherà le spalle di una parola di sacchi di piombo se l'impalcatura per sostenere è appena plastica; nessuno che abbia rispetto per l'altro userebbe delicatezza se è necessario impeto.
Per ogni emozione, per ogni circostanza ci sono parole abbigliate all'uso e non ditemi che se non si fa attenzione il problema è la superficialità perchè vi risponderei che è proprio la superficialità che condanno ed evito.
venerdì 1 ottobre 2010
Buonanotte... a domattina.
Non sono riuscito a chiudere occhio, stanotte.. o meglio, lasciavo che le palpebre si stendessero ogni tanto ma solo per permettere alle lacrime di accarezzare il viso.
Non so come sia possibile che il mio animo si senta ancora lacerato da quella sceltà di libertà, non so perchè il tempo, invece di curare, stia ingigantendo il ricordo e l'emozione. Ho tentato più volte di trovare il filo del discorso ma non ci sono riuscito; ogni prova riporta dritta al suo sorriso, ai suoi capelli perennemente spettinati, al suo volto abbandonato all'anarchia del vento, alle sue mani piccole ma forti. Questa notte mi sembra una prigione eppure qualcosa, dentro di me, chiede al carceriere col suo volto di chiudere a tre mandate, di non fare la spia e di gettare la chiave di modo che io non possa uscire. Beh se tutti i carcerieri fossero così sarei fortunato...
Cerco di respirare profondamente per rallentare il battito del cuore ma solo perché ho paura che possa scoppiare e ti chiedo, mio amico immaginario, c'è una scelta giusta da fare? oppure la scelta giusta non c'è e quello che mi aspetta non sarà altro che un elenco casuale di eventi? Ti prego, rispondimi, ho bisogno di sapere; ho bisogno che la sua freddezza si trasformi nella mia possibilità di riprendere in mano le sorti della mia vita. Neanche aver avuto così tanta paura è bastato a voltare pagina ed è esattamente l'incapacità di lasciar andare che mi spaventa. Oscar Wilde diceva che solo le anime deboli si comportano così ... mi sarebbe piaciuto che Oscar Wilde avesse più stima di me... o forse no, perchè non ho mai prestato molta cura alla costruzione della mia maschera di forza, convinto che la vera forza sia nell'autenticità dei sentimenti... ma sarà poi vero quello in cui io credo? Ho la sensazione che le mie convinzioni siano un po' come un incosciente che ha l'ardire di camminare in una soffitta di legno sgarrupata, dove il legno scricchiola a ogni passo e la polvere sale fino a riempire le narici.
Apro gli occhi mentre continuo a singhiozzare: è tutto scuro, non distinguo nulla... e allora mi diverto a immaginare la volta del cielo, colorata di un blu cobalto che sembra velluto e puntellata da miliardi di stelle splendenti, appese come per incanto a qualche nuvola nascosta ai sensi. La vista di tutto questo dovrebbe rassicurarmi e, infatti, mi distende ma solo per un attimo perché torna il pensiero " a lui piace tanto guardare il cielo, a lui piacciono tanto le nuvole. Spero sia al caldo, che abbia mangiato e che sia sereno".
Le lacrime restano tra le palpebre.
Buonanotte... a domattina.
martedì 24 agosto 2010
Ogni tanto scrivo dal niente e per niente, per ispirazione.
Ricordavo le parole di quel saggio come se le avessi udite pochi istanti prima, eppure ne era passato di tempo. Forse, le ricordavo perchè il coraggio mi aveva imposto il viaggio e mai come in quel momento era importante, per me, ricordare. "Vedi, mio piccolo amico, io ho vissuto molto e solo dopo aver consumato la metà dei miei anni in routine di pratiche inanimate mi sono accorto che tutto quello che avevo fatto non aveva alcun valore, e sai perchè? Perchè avevo lasciato che l'abitudine divorasse i miei slanci, i miei bisogni, i miei desideri. e così sono venuto qui, tra queste due cascate, dove non c'è nulla ma proprio nulla se non il rumore dell'acqua e del vento tra le fronde. E sai cosa ho capito? Che si può fregare il tempo! Sì, si può fregare il tempo, te ne meravigli? e sai come si può fare? sconvolgendo sé stessi e imparando ad afferrare ogni attimo senza dimenticarsi di guardare quell'attimo da diverse angolazioni, per non lasciarsi scappare neanche un riflesso. Lo dico a te, mio piccolo amico, perchè so che puoi comprendermi perchè hai mantenuto la purezza del cuore di un bimbo nell'anima come negli occhi. Vai, afferra la tua esistenza, stringila e renditi parte della Natura perchè è questo che siamo davvero chiamati a fare."
La prima cosa che feci fu tornare nella casa dove avevo vissuto da bambino, per riassaporare le gioie di un tempo e ritrovare una dimensione adimensionale; e tra quei moscerini mi riuscì perfettamente. Io sono parte della Natura e tale voglio restare. E' naturale.
sabato 7 agosto 2010
i castelli di sabbia.
Mi chiedo perché la gente si ostini a costruire castelli di sabbia; trovo che sia un'occupazione molto poco sensata. Costruire per poi vedere tutto distrutto... meglio allora non costruire affatto e passare il tempo a rotolarsi nella sabbia.
Eppure, la mia vita è piena di castelli di sabbia, dalle forme più diverse e complicate, alcuni sembrano addirittura progettati da architetti esperti. Ma hanno fatto, fanno, tutti la stessa fine, basta un attimo; la fine che ha inizio da una sensazione di errore, di fiducia assoldata che viene macinata con indosso il vestito delle feste, di stanchezza. A guardare indietro sembra un campo di battaglia, con i resti abbandonati li, anche un poco a caso, e il fumo che ancora esce da qualche pezzo di carte dato alle fiamme.
Solo che io sono stufa di costruire castelli di sabbia, vorrei cominciare ad usare anche il cemento e il marmo per gli interni.
martedì 3 agosto 2010
dove Lilly voleva stare
Tornò sul luogo del delitto perchè aveva creduto fosse giusto così. Il sangue era ancora lì per terra ma era scuro, adesso, rappreso. Lucas guardava la scena senza battere ciglio, con l'atteggiamento duro di sempre anche se qualcosa, dentro, gridava rabbia e impotenza e solitudine e paura. "Chi l'avrebbe mai detto, eh?" sospirò.
Poggiò lo zaino per terra e si sedette accanto, incrociando le gambe come d'abitudine, come aveva fatto anche quel pomeriggio con Lilly, quando ancora sentiva di essere colpevole per le attese di lei, per il detto e il non detto. Era partito ma era tornato indietro per esorcizzare quell'abbraccio di cui sentiva di avere ancora bisogno. Strinse le arcate dei denti una contro l'altra, fece pulsare la mascella e scurì lo sguardo, cercando di ricacciare le lacrime che si affacciavano sul viso. Lui, che aveva sempre creduto nel potere assoluto della volontà, doveva arrendersi alla vittoria del caso, delle non regole sulle regole, del gioco sporco sul gioco leale, degli anni sugli attimi.
Scontava tutte le colpe passate in quel bisogno di normalità che l'aveva scottato più della stranezza con cui si era sempre dissetato, inaspettatamente desideroso di dolce e non di amaro. Adesso, adesso i giochi erano ormai compiuti e non c'erano più strade possibili da percorrere insieme ma un unico sentiero diroccato che aveva, però, sbocco sul mare, il mare che lui amava tanto e che lo aveva accolto, sempre, a ogni ferita, a ogni ritorno.
- "sei qui". Una voce dolce e sottile lo sorprese. Si voltò sorridendo mansueto perché l'aveva riconosciuta; era lì', ancora una volta, a tendergli la mano per alzarlo da terra.
Si guardarono sorridendo, l'uno cercando ancora di riconoscersi nell'altra.
- "Grazie per essere venuto, Lucas."
- "Non c'è di che".
Lilly si sedette al suo fianco e lo guardò con gli occhi un poco lucidi perché, in quel momento, avvertiva tutto il peso che Lucas aveva caricato sulle spalle, tutte le spine che gli avevano provocato dolore e che lui aveva tolto con pazienza, una a una, disinfettando con cura la pelle trafitta.
Cominciarono a parlare del più e del meno, come fecero la prima volta che decisero di comunicare ma Lucas, all'improvviso, sbottò.
- "Sai, lilly, cosa è davvero terribile per me?"
- "cosa, Lucas?"
- "non vuoi provare a capirlo da sola prima che io te lo dica?"
Lilly abbassò gli occhi: era evidente non volesse e Lucas avrebbe fatto bene a farsi bastare l'attenzione che fino a quel momento gli aveva accordato, per altro a tratti.
"e' terribile sapere che non sei mai stata mia, mai, neanche per un secondo soltanto, nonostante ti avessi tra le mani" Lucas gesticolava come se stesse mimando gli abbracci che l'avevano fatto innamorare mentre cercava di trovarla negli occhi che lei continuava a nascondere per mancanza di coraggio: non sapeva proprio con quali parole ribattere a ciò che Lucas aveva appena detto e sentiva che il momento della verità era tristemente vicino.
- "è così, non è vero?" la incalzò Lucas
- "lucas..."
- "è così, vero? Rispondi!"
- "lucas io..."
- "Rispondi!"
- "Lucas io non...."
e Lucas si alzò di scatto, afferrando con forza la sacca e cominciando ad allonanarsi da lei.
- "lucas, credimi! io non avrei mai voluto farti soffrire! mai!" Lo sguardò di Lilly aveva tutta l'aria di essere senza speranza e la voce cominciava a tremare, come mai era accaduto fino a quel momento. "Lucas, ti prego, fermati!!" urlò squarciando il cielo. Lucas si immobilizzò di scatto ma non si voltò verso di lei e "cosa vuoi?" urlò di risposta, freddo come il ghiaccio. Lilly prese ad andargli incontro ma, arrivata a un centimetro dalle sue spalle, non ebbe il coraggio di toccarlo.
- "lucas, perdonami, io non volevo lo scoprissi così, non volevo! e sapere che adesso stai soffrendo a causa mia mi devasta l'anima ma..."
- "ma tu ami Leandro."
- "Lucas... "
- "... per favore, risparmiami le chiacchiere di rito. Ti avrei aspettato tutta la vita, se tu me lo avessi chiesto. Ma non me lo hai chiesto e io non potrei mai aspettarti, di mia spontanea volontà, sapendo che lo ami anche ancora e che, peggio, non hai smesso un secondo di amarlo, neanche quando era la mia carne che tenevi tra le mani."
- "Sei importante per me, Lucas. Ti ho raccolto io dalla strada, ricordi? ho a cuore la tua vita, sto bene quando mi parli, mi sento felice se posso condividere con te le mie giornate.."
- "ma ami lui, Lilly."
- "non andare, ti prego, non lasciarmi adesso."
- "non posso restare, Lilly e non posso restare perché ti amo. Addio".
Lucas riprese a camminare, mentre una lacrima solcava il viso, lasciando Lilly nella posizione di un plastico, con il braccio teso verso lui che andava via. Ma non pianse, Lilly: in fondo, Leandro la aspettava dall'altra parte della strada ed era lì che Lilly voleva stare.
giovedì 29 luglio 2010
"E' bella la strada per chi cammina."
Davanti agli occhi, una strada lunga, segnata ai bordi da piante di varia natura e dal letto posseduto dal giallo scuro delle foglie cadute, tagliava a metà la campagna dipinta dai toni soffusi d'autunno.
Teneva lo sguardo dritto per non cedere alla commozione del cuore e stringeva i pugni nelle mani come era sempre solito fare. Aveva paura ma non l'avrebbe mai ammesso, neppure a sé stesso, perché farlo avrebbe di certo significato lo stop del suo cammino, cominciato per la perdita di un'ombra dai capelli biondi e proseguito, tra bene e male, con la compagnia discreta di un'anima nobile.
Lasciava che i volti delle presenze che lo avevano accompagnato fino a quel momento facessero capolino dalla tenda scura dei suoi occhi e che lo salutassero con le loro abituali movenze, diverse per ognuno e, per ciascuno, cariche di emozione.
Per ogni ricordo di sguardi sentiva affiorare un sorriso diverso, diverso forse perché ogni quadro d'avventura aveva assunto un significato differente, bello per la sua assoluta irripetibilità anche quando protagonista indiscusso era stato il dolore.
Non fuggiva, Lucas; semplicemente, andava via, di nuovo, per cercare la sua oasi di senso, sempre così vicina nella percezione del momento ma inafferrabile all'evidenza dei fatti; un po' come la pentola d'oro dell'arcobaleno: più ti avvicini e più ti sfugge.
Canticchiava un motivetto sconosciuto e, quando era stanco di sentire l'eco della voce, accompagnava il silenzio fischiettando, pregando a tratti per un aiuto ché la sensazione incombente era quella di non avere più abbastanza forza per andare avanti.
Ma la Luce che aveva da sempre guidato il suo cammino non smetteva di brillare e lo rassicurava con la certezza che tutto sarebbe andato come i suoi desideri, ottimisti e dalle grandi aspirazioni, avevano disegnato. E poi c'era l'ombra, che non era più semplicemente un'ombra ma una presenza viva e costante al suo fianco... e lo teneva per mano perché, se anche fosse caduto, non sarebbe rimasto a terra come quella notte, mai più.
Alzò gli occhi al cielo e si lasciò travolgere dal tramonto pastello che gli imponeva la sua bellezza, lasciandolo invidioso ma pieno di tanto splendore senza artefatto. In fondo, fondersi con la Natura era tutto quello che aveva sempre sognato e il suo essere socialmente solitario l'aveva aiutato, sempre, a non tralasciare il suo bisogno di contatto con la terra. Ma adesso, confuso da un sentimento che non sapeva chiamare per nome, non aveva più la certezza ferrea che il mare, il tramonto, il vento, le nuvole, sarebbero bastati a riempire le vene e, mentre continuava a infognarsi in ragionamenti razionali, capì che l'unica immediata soluzione era non smettere di camminare, ovunque la strada fosse diretta.
"E' bella la strada, per chi cammina."
domenica 25 luglio 2010
Sono una strada sbagliata.
Tu, che sorridi dolorosamente buttando lo sguardo in modo distratto da qualche parte intorno a te; tu che ti senti sempre in disordine e fuori posto; tu che quando esce il sole sei felice ma ti senti serena solo se puoi rimanere ferma a guardare la luna; tu che implori te stessa di non cedere, mai, anche quando tutto sembra spingerti oltre gli ultimi sassi dell'altura a strapiombo.
Tu che ti fidi, che non sai negarti, che perdoni; tu che non sei capricciosa ma comprensiva, che non sai ridere se sei arrabbiata, che non sai piangere se non ce n'è motivo, che non sai inveire contro l'altro ma provi a cercare una giustificazione. Tu che consoli anche quando dovresti essere consolata, che resti ore a guardare il soffitto bianco della tua camera in totale apnea mentale o con fervida immaginazione; Tu che digrigni i denti se qualcosa ti fa male, che stringi i pugni e ferisci te stessa pur di non ferire gli altri. Tu che non provi gusto a mettere alla prova, tu che cerchi di non giudicare, di non pesare su chi ti è affianco. Tu che adori i momenti di silenzio più di quelli rumorosi e parlati. Tu che sei insicura e che dovresti migliorare perché a nessun uomo potrebbero mai piacere le tue insicurezze, perché nessuno mai avrebbe voglia di accoglierti sfidando le incertezze, le tue paure, la tua estrema timidezza.
Tu che sei qui, oggi, a contare i tuoi errori, incapace di trovare qualcosa che ti dia la spinta per non smettere di desiderare: tu sei una strada sbagliata, un percorso turistico che non suggerisce la voglia di restare, che non strappa l'anima a morsi come una figura di donna dovrebbe fare con un uomo, che non rende inebriato e pazzo chi si accosta a te. Tu sei così qualcosa a cui è facile rinunciare e, quando te ne rendi conto, non sai proprio più da dove cominciare ché tutto quel che potevi migliorare l'hai già migliorato.
Tu, sei una strada sbagliata che non si percorre mai fino in fondo.
Tu non sei qualcosa di valore.
Tu sei solo una strada sbagliata.
Tu, sei una strada sbagliata.
venerdì 23 luglio 2010
Parla Piano.
"Sopra il volto tuo pago il pegno di volere ancora avere, ammalarmi di te, raccontandoti di me..."
Quel che resta è solo cenere, un grumo di granelli grigi che avanza la pretesa di essere comunque utile ad accendere una fiamma diversa dal fuoco della passione. Ma adesso io mi chiedo: "è davvero così semplice, per te?"; mai lo è stato e mai lo sarà, per me, anche se impossibile non è... tutto è possibile se lo si vuole.
"Affidarsi a te, non fidandomi di me. Sopra il volto tuo pago il pegno di rinunciare a noi, di vederti soltanto nel volto del ricordo".
Qualsiasi cosa tu voglia dire, parla piano, per non perdere una sola virgola di quello che vuoi dirmi, per non rendere confusa l'agonia, per infarcire il discorso di qualche bugia di comodo che scarichi la tensione che le nostre mani esprimono tremando, cercando le dita dell'altro per poi respingersi, consapevolmente responsabili di essersi toccate quando avrebbero dovuto non sfiorarsi affatto.
Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, dilla, anche se probabilmente non ascolterò perchè lo sguardo è fisso sul mare, come quel giorno, e la testa troppo vuota e chiusa a mille mandate per permettere alla tua chiave di aprirla ancora, ancora una volta, senza che a coprire ci sia un velo di tristezza.
Parla piano, se vuoi parlare, ma non capisco proprio come tu possa ancora avere voglia di fare rumore con le labbra; in realtà non so se tu ne abbia voglia e non riesco a immaginarlo perché il filo che ci legava e che ci permettava di capire l'altro senza suoni, si è rotto... momentaneamente.
Quello che mi scorreva dentro, al passare di un pomeriggio caldissimo tra i granelli di sabbia, io, l'ho detto ma tutto quello che vorrei dire adesso, io, non riesco a dirlo: si ferma prima di arrivare in gola, corrodendo lo stomaco. Ma non permetto a questo acido dolcissimo di uccidere l'ottimismo con cui ho sempre imboccato le mie strade, sorridente e propositiva, disposta a trovare accordo, un punto comune e una risata in più... torneranno quei giorni, ne sono certa ma adesso non riesco ad esprimermi se non con qualche goccia d'acqua dal sapore un poco aspro e non riesco a volerti vicino se non un po' lontano: il tuo sorriso mi farebbe male, la tua spensieratezza mi colpirebbe così come mi colpisce il suo volto accanto al tuo.
Quando torno a casa mi illudo di riassaporare il profumo dei tuoi pensieri nella speranza di vedere il telefono illuminarsi; mi ripeto che mi piacerebbe camminare ancora nella tua testa, zompettare di qua e di la fino a strapparti un sorriso o un "dai, angelina, dobbiamo andare". Forse è questo che accade quando ti strappano dalle mani il regalo che hai appena ricevuto; non ne ho idea, non so dirlo. Io so solo che le nuvole sono ancora lì, loro che passano sempre, che pensavamo sarebbero passate come noi non avremmo fatto per noi due, almeno non adesso. Loro non sono passate, sono sempre lì, dove passa la ferrovia, ad amarsi tenendosi per mano come noi non facciamo più.
Loro, che dovevano passare, sono lì. E noi, che pensavamo di non passare, siam passati.
Se proprio vuoi parlare, parla pure.... ma parla piano.
"la verità non si sa, non si sa come riconoscerla; cercarla nascosta nelle tasche, i cassetti, il telefono... che ti da, che mi da, cercare dietro gli angoli, celare i pensieri e morire da soli in un'alchimia di desideri".
domenica 18 luglio 2010
Ho avuto bisogno di te.
Solo un tuo abbraccio avrebbe potuto calmare l'ansia, il nervosismo, solo il tuo respiro avrebbe potuto permettere al mio di sincronizzarsi su una frequenza più bassa... lo sentivo.
Ho immaginato che il tuo mento spostasse con dolcezza i miei capelli e i tuoi silenzi accarezzassero i pensieri imbizzarriti.
Ho avuto bisogno di te, come una bambina arrabbiata ha bisogno delle carezze della mamma per prender sonno; così ho afferrato il telefono e ti ho implorato di soccorrermi... e tu sei arrivato col pensiero e mi hai tenuta stretta, senza dire una parola, come ti avevo chiesto. Così ho cominciato a dondolare, quasi che tu fossi lì davvero e mi ripetessi con la tua voce fina e ferma "shhh, non aver paura, non è niente.".
So che stasera non riuscirò ad addormentarmi ma proverò a calmarmi pensandomi nel tuo abbraccio, ripetendomi la tua voce che mi dice "Non è niente, stai tranquilla, non è niente".
... Ora che ci penso, non può essere niente il fatto che ho avuto bisogno di te.
giovedì 15 luglio 2010
la luce accecante delle palpebre chiuse
E' libera, come l'aria, scivola ribelle tra le dita.
E' un'idea di fumo che non fa male ma lascia in bocca uno spillo che porta a tossire in modo poco composto. Con la gola brucerà anche l'istinto, colpito dal perdere battute indispensabili alla continuazione di un'insensatezza senza vincoli.
Alcune idee sono castelli di sabbia lasciati a far l'amore col vento e, proprio come il vento, che allontana con impazienza granello dopo granello lasciando uno scheletro di distruzione, così esse subiscono attentati alla struttura per finire tra gli altri granelli, sfinite, confuse e innominate. Domani potrei non avere più voglia di pensare: la realtà è già talmente colorata che appesantire la mente di stupide fantasie non ha davvero senso... E allora oggi andrò a dormire, per nascondere tra le palpebre i sogni che ancora spero possano diventare realtà, per ballare in uno spazio soltanto mio, illuminato a intermittenza da una luce accecante. Nel momento in cui lascio abbandonata ogni parte del mio corpo, mi sento davvero me stessa, mi guardo dal di dentro come se stessi facendo una panoramica dall'alto e mi faccio davvero tanta tenerezza. Non digrigno i denti e non stringo i pugni, non sistemo i capelli davanti agli occhi con gesti inquieti, non resto fissa con lo sguardo ambra su nulla.
Gli occhi sono chiusi, finalmente, e vedono solo quello che vogliono vedere con l'alternarsi di immagini tipico di una sequenza cinematografica. Nei miei momenti di buio lucente posso cambiare idea cinquantamila volte senza sentire il peso della responsabilità, posso fare una carezza e trasformarla in pugno sullo stesso viso e posso sentirmi docile, come non può accadere quando sono sveglia.
Chi l'ha detto che la dolcezza, quella vera, quella autentica, non stia, in realtà, in uno sguardo imbronciato?
lunedì 5 luglio 2010
Pensò a qualcosa da dire, a una frase a effetto per distoglierlo e soprenderlo ma rimase lì, in attesa e afona, a un palmo di naso da lui che sembrava non accorgersi di nulla tranne che dell'aria leggera delle prime ore della sera che stuzzicava il colletto della camicia e gli strappava un sorriso, di tanto in tanto, come una carezza.
"Le tue parole fanno male, sono pungenti come spine... sono taglienti come lame affilate e, messe in bocca alle bambine, possono far male, possono ferire, farmi ragionare, sì, ma non capire! non capire!... Ma tra le tue parole e i tuoi silenzi io preferisco di gran lunga le parole, anche se dure e senza fronzoli perché so, perfettamente, che oggi non sarei qui se tu fossi stato diverso, anche solo un po'". I pensieri di Lilly si agitavano tenaci e con la stessa forza cambiavano forma per attanagliare la gola e arrivare, infine, all'altezza del petto; a quel punto, gli occhi di Lilly si chiudevano per poi riaprirsi un istante dopo, nitidi ma lontani.
Sostando tra un capitolo e l'altro, Lucas si guardò intorno e, scorta Lilly poco lontano sulla sua sinistra, chiuse il libro in modo misurato, si alzò, sistemò il mattoncino sotto il braccio e prese ad andarle incontro. Lilly non si fece attendere e mosse anche lei i suoi timidi passi verso di lui che, adesso, pareva agli occhi di lei più perfetto ancora e ancora più giusta le pareva la strada percorsa fino a quel momento. Non sapeva, però, che l'anima spartana e volubile di Lucas l'avrebbe messa alla prova, una volta ancora:
- "come sempre in perfetto orario!"
- "Sono qui da qualche decina di minuti ma non ho voluto disturbarti, non volevo perdermi lo spettacolo per niente al mondo". rispose lei, aperta come un libro scritto con inchiostro blu netto su fogli bianchi come il latte.
- "lo spettacolo? che spettacolo?" riprese Lucas, interrogativo.
- "uhm... mah niente..." ma le si intravedeva sulle labbra un sorriso malizioso incantevole - "volevi parlarmi, hai detto. che si fa? restiamo qui tra le margherite o andiamo da qualche parte?"
- "lilly...." poi una pausa
- "ti ho già detto che questo tuo non decidere un po' mi infastidisce?... ma solo un po'"
- "me l'hai detto, Lucas. Ma anche tu non decidi mai..."
- "Già... A questo proposito... Lilly.... "
- "Ti prego, non dire nulla, so di cosa vuoi parlare..."
Lucas si voltò verso di lei, scuro e pensieroso.
Avevano assecondato la pigrizia e si erano seduti nello stesso punto dove si erano incontrati, tra le margherite e l'odore di fieno che il vento portava da poco lontano, con le gambe incrociate e la schiena un poco curva... erano divisi, nessuna parte del corpo dell'uno toccava, neppure per sbaglio, quella dell'altra, eppure mai come in quel momento le loro teste si tenevano per mano.
- "quindi hai capito cosa volevo dirti..."
- "Sì, Lucas, non ti preoccupare."
Dopo qualche minuto, Lilly divenne un fiume in piena:
- "Se ripenso a come ti ho trovato... se penso a come sei adesso..." - sorrise sospirando - "eri completamente perso, si vedeva lontano un miglio anche se facevi di tutto per nasconderlo. Ridevi ma in ogni sorriso c'era una goccia di amaro, di rimpianto, di risentimento, di dolore e adesso ridi senza ombre. Credi che sia poco questo, per me? Non rispondere, fammi continuare."
Lucas la guardava a denti stretti, statico come un masso mentre Lilly continuava il suo racconto a testa bassa, come a trovare il coraggio per non fermarsi.
- " No, lucas, non è affatto poco questo, per me. Ho fatto quello che, adesso, avrei desiderato fare. Del resto, sai benissimo quanto anche io avessi bisogno di cure, di spensieratezza, di gioco e tu mi hai dato tutto questo in modo così naturale che adesso la tua presenza, per me, è una droga. E non importa se non ci apparterremo mai! quello che ho avuto di te mi basta perché averti aiutato a essere splendente come adesso sei è più di quanto io avrei mai potuto desiderare di te, l'unica cosa che davvero porta un valore incalcolabile ai miei occhi. Conosco i tuoi dubbi, so come ti senti, so cosa senti, so che c'è ancora lei nella tua testa, so che non l'hai dimenticata e capisco che per te non sia facile, ma..."
- "io vorrei soltanto salvarti, Lilly...io non... io non so se.... io, lei la... perché non so se poi... sai che se non sono certo io sono... perché insomma,ho paura che.... non voglio che tu soffra a causa mia, non voglio che tu...salvarti, capisci?"
- "salvarmi?"
- "sì, salvarti!"
- "E se io volessi rischiare di morire?"
Lucas spense lo sguardo a terra e non rispose mentre Lilly, dopo averlo baciato dolcemente su una guancia perché le labbra,stavolta, non le erano accessibili, si allontanava da lui.
Ma Lucas, incapace di quella responsabilità, lasciò all'eco il compito di ripeterle:
venerdì 2 luglio 2010
.... la luce sorprendente della morte.
Credo che Francesco Alviti sia stata una di queste anime speciali, di quelle che ti dispiace non avere incontrato quando il normale significato del "vivere" era comune a entrambi. Ma l'incontro postumo non è meno carico di importanza, non quando la morte combatte ancora con la vita, perdendo tutte le sue battaglie. Francesco in 20 anni ha costruito tanto, forse più di quanto io riuscirei a fare in tutta la vita e sembra ritornare in questo quell'antico concetto popolare che dice: "coloro che hanno tanta voglia di fare, di scoprire, forse hanno così tanta fretta perché sentono di dovere andare via presto" e, tale progressione terrena di invecchiamento limitata, accomuna spesso le meteore più luminose, le presenze più speciali che anche nell'assenza sembrano non essere mai assenti.
Io potrò vivere anche 100 anni ma la mia vita non sarà mai lunga come quella di Francesco: lui rimarrà sempre sorprendentemente vivo. Io finirò, lui no. Lui sì che è immortale.
mercoledì 30 giugno 2010
Rossetto e cioccolato
domenica 27 giugno 2010
Allo specchio.
http://www.youtube.com/watch?v=YNyN--TqIIs&feature=player_embedded#!
sabato 26 giugno 2010
odore di erba bagnata
Lei era dolcissima con quegli occhi azzurri come il cielo limpido delle mattine d'estate e le labbra sempre un po' socchiuse.
Lei era gentilissima con quei sorrisi pronti in qualsiasi circostanza, sorrisi cacciati da chissà dove con chissà quale forza di finzione.
Lei era tristissima, con lo sguardo basso, lacerata da un dolore che straziava le viscere.
Lei era la donna perfetta, come avrei potuto io competere con lei? Non avrei potuto e, difatti, non ho potuto.
Ho cambiato quattro volte il colore dei capelli, prima per assomigliarle e poi per distinguermi da lei, ne ho cambiato il taglio, ho indossato sorrisi di maniera e parole adeguate, mai troppo fuori posto. Ho scelto con cura la sciarpa da abbinare agli occhiali, ho indossato il tacco anche sotto pantaloni sportivi, ho tenuto a bada le mie idee e, quando non l'ho fatto, ho proposto la mia versione sempre con timore perché lui non mi allontanasse dalla scia del suo profumo austero... e non ho raccolto che tempesta, secchiate di indifferenza e durezza, tentativi di convincimento su di me che ero troppo debole per capire che era sul senso di colpa, sulle paure che lui insisteva per affermare la sua forza cieca e carica di rancore.
Lui era bellissimo, con i capelli nero corvino dapprima cortissimi, poi lasciati crescere in un'onda a coprire i piccoli occhi neri, due buchi di eternità in cui mi ero persa nell'istante stesso in cui fecero capolino attraverso il vetro appannato.
Lui era intelligentissimo, sicuro e fermo ma anche così bambino nel modo di ridere e di chiamare il mio nome... e il suo, il suo nome biondo.
Lui era bugiardo, anche, ma non lo dava a vedere.
E fu così, con quei modi da adolescente appena affacciato al mondo, che prese tutto di me,come una furia, un tornado silenzioso, un tornado con 12 anni di anticipo. Ho ascoltato le sue paure per ore e con la stessa pazienza ho ascoltato musica d'opera, l'ho aspettato e guardato dormire, l'ho sorretto, l'ho aiutato a dire basta ma io non ero abbastanza.
Lei era lì, con quei suoi capelli biondi e i suoi sorrisi tristi. Come avrebbe potuto lui rivolgersi a me? così poco bionda, con gli occhi scuri come semi di albicocca e i sorrisi spontanei di chi ride solo se lo vuole, con parole continue d'ottimismo instancabile... quanto poco sono in confronto a lei! quanto poco valgo ai loro occhi!
Ho iniziato a ripetermi che sono semplicemente diversa da lei ma è stato difficile accettarlo: lei l'eletta, io la povera scema lasciata lì nell'angolo in castigo, a piangere, per aver trovato la forza di chiedere una carezza o un abbraccio sincero... ovviamente negato tra insulti e brutte parole.
Ma è stato difficile fino a oggi che finalmente scopro il mio piccolo valore, probabilmente ancora poco definibile ma comunque presente.
Lascio loro la loro perfezione, i loro occhi bellissimi e i loro sorrisi, sinceri e di maniera; evidentemente la mia imperfezione spontanea non mi rende all'altezza del loro mondo di glassa, evidentemente quello che avevo da dare aveva per loro lo stesso valore di uno zerbino zuppo di pioggia.
Più che profumo di pesco sono odore di erba bagnata ma ho smesso da qualche settimana di piangere rugiada.
E adesso che mi ritrovo in una sera d'estate a sorridere nel vedere quanto siete belli e di talento, mi auguro per voi che possiate essere felici.... e sereni, come io lo sono adesso.
Alla vostra!
venerdì 25 giugno 2010
mercoledì 23 giugno 2010
sabato 19 giugno 2010
Pot Pourrì
mercoledì 16 giugno 2010
Il musico e la fata
martedì 15 giugno 2010
Vampiro di Respiri.
giovedì 10 giugno 2010
La Vie En Rose (Melanie Fiona Rosato Remix) - Melanie Fiona famoso spot ...
martedì 8 giugno 2010
lunedì 7 giugno 2010
mercoledì 2 giugno 2010
Vinicio Capossela-resta con me
"Mi ha svegliata l'agenda del cellulare, ho messo un piede giù dal letto ma un secondo dopo ero di nuovo con tutti e due i piedi sotto le coperte; poi, però, mi sono detta "su, coraggio! è ora di fare il saltino giù dal materasso" ed ero in piedi. Connettere appena sveglia è veramente un'impresa quasi impossibile, specialmente quando i sogni sognati la notte si muovono ancora confusi nella testa per prendere posto in qualche parte dell'ippocampo così da non disturbare durante il giorno. Ma c'era qualcosa di diverso nei sogni di stanotte, sembravano consigli.. sì, consigli, ma non ricordo riguardo cosa.
Sto esercitando il mio cervello, come sempre, ed è stato proprio questo che mi ha fatto capire perchè anche i ricordi più lontani siano in me tutti così vivi, dettagliati, emotivamente del tutto fedeli alla prima impressione. Medina dice: "il ricordo si consolida richiamando alla memoria” cazzo! allora io penso “ questo vuol dire che ricorderò sempre tutto, ma proprio tutto, in HD?- "ma no, sciocca! basterà non richiamare alla memoria” risponde lui. Ok, ci sto. E se me lo consiglia lui non posso che fare come mi dice. Ma poi, però, è così fondamentale dimenticare? “certo che lo è!il cervello ha bisogno di spazio, di aria! Ma fa tutto in automatico, non ti ho insegnato nulla??!” sempre Medina che parla. Avoglia se mi hai insegnato! solo che alcune cose sarebbe bello ricordarle! altrimenti si riduce tutto a un continuo svuotamento. Ad esempio, oggi è il 2 giugno, il compleanno di Rosanna e stamattina, appena aperti gli occhi, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato questo stesso giorno di due o tre anni fa: erano le dodici più o meno, io stavo cercando di imparare le formule di chimica farmaceutica mentre la tv era accesa sulla parata militare (a mio padre piacciono tanto le parate militari ma a me fanno veramente cagare.. tutte quelle uniformi, quel passo del cavolo, COORDINAZIONE, ecco! sì, coordinazione....) e io le ho mandato un messaggio di auguri. E' stato carino ricordare questo fatto! se non ci avessi pensato mai dopo quel giorno, probabilmente lo avrei dimenticato! o forse no, visto che, come sostiene la tua teoria, il ricordo è direttamente proporzionale all'emozione che accompagna il ricordo stesso. "bravissima!". Grazie John, non sai quanto è bello sentire complimenti al superlativo! Ad ogni modo, il fatto che io abbia la corteccia pre-frontale troppo attiva mi porterà a ricordare sempre tutto? "ma no, ti porta soltanto ad essere un po' più passionale e focosa degli altri. ti accendi con poco e il fuoco è bello vivo, ma per risolvere basta buttarci su dell'acqua!"Dell'acqua John? (perchè posso darti del tu, mio mentore, vero?) ma qui ci vuole proprio un estintore! sapori, profumi, odori nel vero senso della parola, tutti imput neurochimici che in me hanno un effetto devastante... ma questi prima o poi dovrebbero passare sotto la voce "dimenticato"!" “eh, no, mi spiace ma queste sono proprio le cose che non si dimenticano! Ricordi l’esempio delle lasagne della nonna? Ok, lo ripetiamo. Senti un po’ qui: quando eri piccolina, la nonna cucinava sempre le lasagne, che a te piacevano tanto ma poi non le ha preparate più per tanto tempo. Un giorno qualsiasi di un qualsiasi anno molto lontano dall’ultima abbuffata, sei a lezione e, mentre il professore spiega, senti un odore molto simile a quello della lasagna della nonna. E bene, grazie alle lasagne della nonna, anche molto dopo quella lezione, ricorderai esattamente cosa il professore stava dicendo in quel momento. Le lasagne hanno mandato quelle parole in PTL, in Long Term Potentiation!!! Ed è cos’ per gli altri profumi, le altre emozioni.. non si ha scampo, col cervello!” "ma porca miseria! allora sono veramente spacciata! ahahahah" - "al contrario! i miei discorsi dovrebbero rassicurarti! la maggio parte di quello che viviamo finisce nel dimenticatoio e, male che vada, finisce il PTL! quindi, non avere paura delle tue passioni, anzi, vivile! e vedrai che il tuo cervellino ti ringrazierà!
Accendo il pc, comincio ad ascoltare qualche canzone di Vinicio, rimando due o tre volte "resta con me" e poi provo a convincermi a preparare la valigia. Magliettine, gonne, spazzole, profumo. Medina sa come convincerti a vivere, a funzionare nel modo corretto, a essere un cervello acceso e moderato. Il problema è che a me la moderazione non è mai piaciuta, con limite a 50 vado sempre a 13o e chissà perché! forse più che di un cervello correttamente pensante avrei bisogno di un'entità che il pensiero non sa neanche cosa sia. Zucchero per il mio cervello non è altro che la sincerità e questo zucchero riesce ad attraversare la mia barriera ematoencefalica con una facilità disarmante!E tutto può essere zucchero! "un cervello libero è un cervello correttamente funzionante". porca miseria, allora sono un genio!!! "non esagerare, adesso... fai un saltello?"mi alzo dalla sedia e lo faccio, un momento, Medina.. fatto!! "Bene, sai il fatto tuo, ragazzina! ma adesso, anche se questo pigiamino rosa ti dona, non credi che sia il caso di andarti a vestire? non cominci a sentire un po' caldo?"Mi alzo dalla sedia, ma prima finisco di ascoltare la canzone che sto ascoltando. Un cervello libero è un cervello correttamente funzionante, quindi il mio dovrebbe funzionare bene ma sono sicura che funzionerebbe ancora meglio se riuscisse a trovare un cervello randagio, completamente fuori, un cervello con cui correre e ridere, senza lacci, per tutto il tempo che i due cervelli lo consentono, o meglio, lo vogliono. Questo è tutto quello che cerco, questo è quello a cui io direi, per una sera o mille "resta con me questa sera e balla ancora... etc, etc, etc".