giovedì 14 ottobre 2010

parole, parole, parole.

Lavorare con le parole è un compito di responsabilità oltre che un'occupazione artistica.
Le parole sono l'arma più subdola che l'uomo abbia a disposizione e significano soprattutto quando si fanno attendere: non rispondere è una risposta più valida della risposta manifesta perché indica un non atto e, dunque, una posizione netta.
La comunicazione verbale è ciò che consente scambi "umani" più o meno semplici e veicola messaggi senza difficoltà interpretative ma, proprio in questa scontatezza consumata nell'uso quotidiano, ha luogo la tragedia della sottovalutazione del loro potere intrinseco.
Sono molto rattristata per l'utilizzo improprio di termini con un valore incalcolabile perché, tale abitudine massiva, mi lascia la sensazione che nulla abbia più peso: tutto è alla mercé di una esaltazione globale, per giunta finta, attraverso cui tutti sembrano delle grandi personalità luminose. Ma che tristezza quando, invece, ci si accorge che la verità è diversa! altro che anime luminose; sono solo abbagli, specchi per le allodole.
Chiunque sia consapevole delle parole è detentore della delicatezza dell'essere: nessuno che abbia rispetto per un altro caricherà le spalle di una parola di sacchi di piombo se l'impalcatura per sostenere è appena plastica; nessuno che abbia rispetto per l'altro userebbe delicatezza se è necessario impeto.
Per ogni emozione, per ogni circostanza ci sono parole abbigliate all'uso e non ditemi che se non si fa attenzione il problema è la superficialità perchè vi risponderei che è proprio la superficialità che condanno ed evito.

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