sabato 4 dicembre 2010

Diario di viaggio (1) - Praga.

Arrivammo che la notte aveva ormai scurito il grigio delle nubi; l'aria era fredda ma non come avevamo immaginato e questo fece tirare a tutti un respiro di sollievo: forse avremmo scampato quello strano senso di gelo nelle ossa a cui, notoriamente, gli Italiani non sono poi così abituati. L'aeroporto era deserto e non so dire quali fossero esattamente i miei pensieri in quel momento ma ricordo che la preoccupazione più grande era per il cibo.
Saranno state le parole sempre ripetute su Praga ma effettivamente l'aria sapeva di sesso sommerso, rubato, nascosto o manifesto tra le strade e i fritti con cipolla. D'altra parte, non è sconosciuto agli occidentali questo aspetto della cultura dell'est; le donne più belle del mondo si concentrano in quest'area del pianeta e, a ciò, si aggiunge il fatto che tale loro dote naturale abbia portato alla valutazione della donna come oggetto fonte di guadagno, uno splendido oggetto da presentare al turista che, spesso, si muove unicamente per questo motivo.
L'impressione prima che ho avuto è stata che tutto avesse un odore diverso da quello di casa ma non sgradevole.... semplicemente diverso. Ci aveva accolti una pioggerella leggerissima, fina, così sottile che, per la prima volta in vita mia, non sentivo la smania di aprire l'ombrello, bastava il cappuccio. Il nostro interprete cercava di comunicare con Marco, l'unica persona in grado di parlare l'inglese in modo fluente mentre io restavo immobile a sentire, fingendo di essere immersa nella mia bolla di incomprensione comunicativa.
Credo che il grado con cui riusciamo a a stupirci sia direttamente proporzionale alla disponibilità dell'anima a rimanere stupita e inversamente all'ingombro di pensieri nella testa. Io mi trovavo nel mezzo, per entrambe le condizioni; per questo, l'impatto non fu dei migliori ma presi presto confidenza con quel cielo pesante di tonalità di grigio e basso e con tutte quelle guglie che sapevano tanto di romanzo di fantasia. Salì presto l'ansia di fotografare ogni centimetro della città, per far sì che gli affetti che avevo lasciato a casa potessero vedere con i loro occhi tutto quello in cui ero stata catapultata per poi riuscire a sentire, attraverso le mie parole, i profumi, le sensazioni, l'euforia di quei giorni. Charle's Bridge, la Moldava, Piazza dell'Orologio, il Castello diventavano sempre più familiari, al punto che mi riusciva perfino facile orientarmi benché le insegne e la cartina esclusivamente in ceco non aiutassero nei movimenti. Quello che mi ha lasciata un po' a metà sono state le strade quasi sempre deserte, fatta eccezione del centro, e la freddezza della gente del posto, piena del proprio lavoro e di un distacco assoluto... non so dire se sia davvero così o se sia stato un problema mio, che amo in massimo grado l'espansività e la solarità solidale. Tra tutti, però, c'è stata un'eccezione: Linda, una ragazza bionda, esile e con due occhi azzurri furbi e allegri, che lavora come cameriera nel ristorante italiano Buschetto, a Piazza San Venceslao. Parla benissimo l'italiano perché ha vissuto cinque anni qui da noi e ci ha fatto sentire a casa quando, dopo una scorpacciata di confusione mentale per un contesto incomprensibile, avevamo bisogno di qualcosa che parlasse la nostra stessa lingua e portasse addosso il nostro stesso odore.
Il fatto che la gente non camminasse per strada, però, mi aveva fatto impuntare e, così, ho chiesto spiegazioni ad Ales, il nostro interprete in inglese. Ales mi ha spiegato che quello che si vede fuori non è quello che c'è dentro: il clima molto rigido ha plasmato, comprensibilmente, le abitudini delle persone che non possono girare a piedi quando il freddo è così penetrante da tirare giù le orecchie; così, mentre le strade si svuotano, i locali si riempiono, che si tratti di ristoranti, pub, pizzerie, centri commerciali, negozi, non importa. Da ciò si spiega anche l'attenzione massima per il design: ogni locale è curato nei minimi dettagli, arredato con mobili e oggetti originali e sempre di senso nel contesto in cui vengono posti. Abitudine diffusa è quella di appendere o attaccare oggetti al soffitto: non è raro alzare lo sguardo e trovare appesi quadri, vasi con piante in una composizione d'edera e, addiritturam pianoforti e fisarmoniche!
Il centro, invece, dal canto suo, è sempre pieno di persone tra le strade, turisti che si muovono tra i mercatini e i monumenti e che si ritrovano tutti, alle 12 in punto, a piazza dell'Orologio per assistere allo spettacolo della danza della morte: un trombettiere, in un costume a strisce rosse e gialle, sale fin sulla Torre e comincia a suonare mentre le finestrelle, immediatamente sopra il grande orologio astronomico dalle sfumture blu e oro, si aprono per far sì che possano essere esposti i dodici apostoli che si presentano in fila, uno dopo l'altro, sei da una finestrella e sei da un'altra. La morte, sul lato destro della Torre, ricorda la sua presenza attraverso un teschio che batte rintocchi veloci sul suo campanello. Tutto si svolge nel giro di pochi minuti e, a spettacolo concluso, la folla radunata abbassa lo sguardo e si disperde, di nuovo, tra le stradine pulitissime del centro.

Non è stato triste tornare a casa... dopo un po' avevo cominciato ad avere di nuovo bisogno di sole che, a Praga, è sempre rimasto timidamente nascosto dal fitto manto di nubi.
Atterrati a Fiumicino e, poi, in macchina verso casa, l'unica nostalgia è stata per quel senso di sospensione a mezz'aria che ho provato sull'aereo, quella sensazione di essere davvero al di sopra delle nuvole, al di sopra di tutto, quelle nuvole che adesso potevo guardare solo rimanendo imbambolata con il naso all'insù.
Il bilancio è assolutamente positivo, nonostante all'inzio non credevo potesse esserlo. A me succede sempre così: mi innamoro di tutto ciò che a prima vista non mi piace e Praga non ha fatto eccezione.

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