domenica 10 luglio 2011

esercizi di scrittura - storie che mi piacerebbe vivere

Era un tango appassionato quello tra due menti contorte, misurate nelle distanze di sicurezza, impegnate nello slalom delle sensazioni irrazionali che turbano la serenità dell'abitudine, abbracciata con rassegnazione cupa e tormentata. Un passo, un altro, un giro intorno a lei, così fredda e così immobile. Nera. Neri i capelli lunghi e fini, profumati di sandalo e rosa. Nero il lungo abito accollato e chiuso, per non tradire la carnalità della figura eterea e pallida. Nero lo sguardo, profondo e acceso di vita sommessa. Rosse le labbra carnose e chiuse. Non dava cenni di partecipazione mentre lui, sicuro e fiero, deciso nei movimenti dolci e striscianti, l'avvolgeva col suo profumo di agrumi. Non la guardava, mai. Ogni sguardo avrebbe tradito la sua intenzione di amarla fino all'ultimo gemito, quella notte dall'umidità fastidiosa. E uno, due. Un giro ancora. Lei socchiuse appena le labbra, tradendo il cuore che batteva forte, perché il buio della sala e quella presenza che le stringeva l'aria tutto in cerchio, la turbava. In uno secondo, lunghissimo, le fu con le labbra all'orecchio e le disse, a voce bassa e rapidamente, ansimante appena:
-"Mi permetta di invitarla a ballare. Questo ballo. Un ballo solo."
La risposta di lei si esplicitò nel respiro sincopato e veloce.
Lui le prese la mano, delicatamente, e la voltò verso di lui.
E cominciò così una danza dolorosa, segnata dal passo ritmato e fluido di lui, nella dimenticanza del raziocinio per lei, in uno squarcio di vita che illuminava di luce un'esistenza troppo fragile per risplendere di gloria personale. Non osava pensare che l'oscuro cavaliere la volesse per una notte soltanto, non voleva credere alla speranza che voleva portarla a immaginare un futuro di carezze e passeggiate, sorrisi e lunghe chiacchierate; sarebbe stato troppo, poi, dover tornare alla realtà che non regala amore ma sconfitte, continue sconfitte. Non voleva conoscere le intenzioni di lui, che pure sembrava rapito dai suoi capelli neri e dal suo abito così accollato, tanto poco sensuale quanto misterioso. Lui che, dal canto suo, assaporava ogni attimo di quella danza respirando a fondo tra i suoi capelli, lui che aveva tanto desiderato quel momento e che, adesso, non credeva all'averla davvero tra le mani e non riusciva ad articolare le parole.
Lei avrebbe certamente pensato di non piacergli, lo sapeva, ma non riusciva a comportarsi diversamente da come faceva, ancora impaurita dalla danza scura e dallo sguardo indecifrabile di lui, impegnata più a guardarlo per comprenderlo che a seguire la musica.

la bianchezza della balena bianca

Sebbene sia bianco il signore degli elefanti bianchi
che i barbari Pegu pongono sopra ogni cosa
bianche le pietre che i pagani antichi donavano in segno di gioia, per un giorno felice
Bianche cose nobili e commoventi, come i veli di sposa, l'innocenza
la purezza la benignità dell'età
Sebbene abiti bianchi vengano dati ai redenti
davanti a un trono bianco,
dove il Santissimo siede, bianco come la lana
Sebbene sia associato a quanto di più dolce, onorevole e sublime
La bianchezza della balena
Niente è più terribile di questo colore, una volte separato dal bene
Una volta accompagnato al terrore
La bianchezza dello squalo bianco,
l'orrida fissità del suo sguardo
che demolisce il coraggio
La fioccosa bianchezza dell'albatro
nelle sue nubi di spirito
La bianchezza dell'albino bianco
E cosa atterrisce dell'aspetto dei morti
se non il pallore
bianco sudario colore?
Spettri e fantasmi immersi delle nebbie di latte
Il re del terrore avanza nell'apocalisse su un cavallo pallido
E pallidi i cappucci della pentecoste
e il mare nel suo richiamo abissale
Nell'antartico, bianco sconfinato cimitero,
il bianco sogghigna nei suoi monumenti di ghiaccio
il pensiero del nulla si spalanca nella profondità lattea del cielo
Bianco l'inverno bianco, la neve bianca
bianca la notte
Bianca l'insonnia bianca, la morte bianca
e bianca la paura è bianca
L'universo vacuo e senza colore
ci sta davanti come un lebbroso
anche questo è la bianchezza della balena
la Bianchezza della balena
Capite ora la caccia feroce? il male abominevole,
l'assenza di colore.

lunedì 13 giugno 2011


Uscii fuori a guardare il più strano e meraviglioso balletto mai visto: il giorno corteggiava la notte, regalandole una rosa dai toni rosso pastello, come ogni sera, caparbio e risoluto, testardo nell'intento di farla sua, di rapirla, fosse anche per qualche ora
soltanto. Pensai che, se avessi aspettato qualche attimo, avrei potuto perfino guardare le prime stelle spuntare; aspettai. Volevo vedere quelle stelle comparire all'improvviso, forse solo per poter dire a me stessa di non aver aspettato invano la sera. Una musica cominciò a suonare ma non c'erano orchestre intorno, né bande musicali, né uno stereo: solo il verde della casa di fronte, le grida lontane di un bambino che rincorreva allegro il suo pallone e il rumore del mio respiro. Ma cantava la mia testa, ripeteva, come una nenia, le tre battute di una filastrocca dimenticata. "Uccellin che vien dal mare quante penne puo' portare?Puo' portarne Trentatre', uno due tre." a bassa voce una, due, tre, trenta volte "Uccellin che vien dal mare quante penne puo' portare? Puo' portarne Trentatre',uno due tre."
Quando poi cominciò a soffiare il vento sciolsi i capelli, lasciai le labbra schiuse alle carezze della frescura delle serate estive e chiusi gli occhi. Ero sola, certo, poco incantata, rigida e ricoperta di aculei ma la sera mi scopriva nella mia fragilità elementare, macchiata del sangue delle ferite che io stessa mi ero procurata col silenzio di una mancanza ferma al petto e nelle più profonde sinapsi del cervello, come ai recettori olfattivi che riproducevano con grande verosimiglianza quei profumi. Mi riscopriva più donna che bambina, avvolta da un mantello di dolore misterioso ma sorridente nelle difficoltà di un'età ancora non pienamente sbocciata. Uccellin che vien dal mare
quante penne puo' portare?Puo' portarne Trentatre',
uno due tre.
No, non avevo aspettato invano la sera.

sabato 7 maggio 2011

Se vuoi scrivere un libro, fermati ad aspettare un treno. Troverai un tripudio di sguardi, parole, urla, lacrime, sorrisi. Mani che si stringono e dita che si muovono nervose, zaini pieni di stanchezza e speranza, capelli perfetti e barba incolta, panini divorati dalla fame automatica e mozziconi di sigaretta, clochards felici di esserlo, birre amiche alle undici del mattino come all'una della notte, denti neri e piedi nudi, o fasciati in un paio di splendide hogan.
Se vuoi scrivere un libro, fermati ad aspettare un treno. Gli occhi più belli che tu possa avere sono quelli della enterwerter, sospesa a mezzo muro, gialla d'ittero, ad aspettare che un nuovo amico si fermi a scrivere il suo passaggio. Basta sedersi su una qualsiasi panchina, in qualsiasi momento del giorno o della notte e mille e più storie si srotolano e si scrivono da sé, lettera dopo lettera, attraverso un paio di occhi scuri o il passo svelto del pendolare stanco, attraverso la valigia del turista appena arrivato nella città eterna o nel sorriso spento del disgraziato. Gioie e dolori di esistenze, ognuna sconosciuta ai più. Nessuno scrittore potrebbe mai trovare parole più belle di quelle che una enterwerter sarebbe in grado di riscrivere passo passo dai racconti di tutti questi uomini, uomini e donne, che compongono il più bel mosaico della Vita. Ognuno sottolineerebbe le fasi più belle o più dolorose aggrottando le sopracciglia, spingendo il tono della voce, spostando i capelli con fare nervoso.
Se vuoi scrivere un libro, fermati ad aspettare un treno... Anche io avevo l'ambizione di scrivere un libro, pur avendo sempre riconosciuto a me stessa poca fantasia oltre che una discreta perizia nello scrivere. Ma di fronte a tanta bellezza, di fronte a un quadro così sfumato di colori, potrei prendere un qualsiasi corpo come spunto e cominciare a dipingere da lì, dal più piccolo dettaglio o dalla stranezza più eclatante. E, in tutto questo, credo di essere nata per il Mondo; per la sua parte più scomposta e disorientata, ermetica nei silenzi chiassosi, stanca e euforica, bipolare e fragile... e io ne sono parte integrante.