sabato 19 giugno 2010

Pot Pourrì

Anche il napoletano ha subito i graffi del passare degli anni, si è irrigidito, è diventato meno delicato e delizioso: oggi le esse sono dure, l'intonazione è cantilenante e marcata, volutamente stressante sulle "i" quasi a voler sezionare il dittongo della parola cielo per trasformalo in uno iato improprio.
A sentire le vecchie canzoni sembra di essere catapultati in un film degli anni 40 in cui il bianco e nero a malapena mostra lo scintillio dell'incresparsi accennato delle piccole onde e le voci degli attori strillano parole confuse per i vicoli di una città dal cuore pulsante ancora intatto; quei film dove le donne sembrano disegnate a mano, con i capelli raccolti in acconciature gonfie e appena boccolose e con indosso quei tubini che segnavano lo stringere della vita per esaltare il seno e il fondoschiena.
Mia madre me lo dice sempre e mi educa all'ascolto: "erano delle poesie, Angela, delle poesie bellissime, ascolta!". Mi racconta aneddoti, mi parla della città profumata e dai modi raffinati che adesso non esiste quasi più ma non mi riprende quando entrambe conversiamo in dialetto, forse perché non vuole che si perda del tutto la sua tradizione, che lei ha così poco vissuto. E io sento una tenerezza stringente quando mi accorgo che con le strofe di queste poesie musicate riesco a immaginare tutto quello è descritto: il cielo sereno dell'estate, il venticello leggero, le ciliegie, la fronte corrucciata dell'innamorato, le lacrime dell'abbandono, i fiori dai colori delicati, la luna e il profumo del mare, bellezza in frantumi che ho, talvolta, avuto modo di vedere con gli occhi incantati di una bimba viziata dai biscotti delle nonne.
Era di maggio, quando la pioggia salutava per qualche mese le strade strette del paese, che cominciava la festa con l'entusiasmo unico delle adolescenti naturalmente maliziose e dall'ingenuità ancora morbida. Le mani e i piedi si sporcavano di terra, il sole bagnava la pelle della sua stessa essenza e solo l'acqua fresca delle bacinelle con i pomodori a lavare riuscivano ad alleviare la calura. I sorrisi che parevano non finire mai, le carezze di una nonna indomita, gli insegnamenti, i motorini, il campo di calcetto...
Avere una casa che dà la sua piccola terrazza sul Golfo di Castellammare ha un valore diverso dalla semplice bellezza; porta un incanto che se non lo si tocca con mano non lo si può capire.
Per questo, nonostante il deturpamento colpevole che rende arrabbiati e fa sentire impotenti, non è possibile per la mia testa rimanere lontana da quel posto per troppo tempo.
Se da qualche parte in me è nascosto un romanticismo misurato ma dolce lo devo a quella sensibilità antica che più che descrivere la realtà aspira a un sogno.

mercoledì 16 giugno 2010

Il musico e la fata

Sul far del giorno.

Il musico dalle scarpe nero vernice si accostò alla ragazza dall'abito bianco; qualsiasi cosa avesse fatto in quel momento sarebbe stata giusta e, se non giusta, giustificata. Lei si voltò per rendersi conto di cosa fosse il fruscio alle sue spalle, lasciate nude dalla scollatura del vestito e, alla vista di quei capelli neri e lunghi, raccolti in una coda disordinata, tacque.
Era un uomo indecifrabile, lo era per tutte le donne che aveva amato, per un periodo o una notte soltanto; era una colomba maledetta dagli artigli di un falco, una presenza scura e inquietante ma dall'attrattiva inspiegabile.
Il musico si fece avanti sicuro e le prese la mano.
- " Te lo leggo negli occhi che hai i miei pensieri in questo istante, lo percepisco dal tremore delle tue mani, dal tuo respiro impercettibilmente affannoso. Non temere di sbagliare, non avere paura di me."
- "Tu menti", rispose lei, lapidaria.
- "Non mento".
- "Tu menti", ripetè lei.
- "No, non mento".
- "Sai bene che io e te non possiamo appartenerci. Tu sei un musico e io una fata."
- "Io non voglio appartenerti, voglio soltanto unsoffio della tua anima e qualche ora della tua vita, mi basta questo."
- "Ma perchè? Perché non riesci a capire che io ti voglio bene?"
- "Perché non me ne faccio nulla del tuo bene, non ha importanza per me, non mi serve adesso. I tuoi capelli lunghi, rossi, hanno la stessa bellezza di quelli di un'altra, la tua pelle bianca lo stesso candore di un'altra e il tuo sorriso una dolcezza che in questo momento mi rapisce e, per stasera, mi fa scegliere te ma stasera e non domani. Domani sarà diverso, forse. Tu, però, sei qui e questo conta"
- "Non capirai mai il valore dei sentimenti tu, mi fai tristezza. Non si vive senza amore, senza rispetto per gli altri. Tu non vivi, tu sei cieco e sordo."
- "Non sono né cieco né sordo. Sono semplicemente diverso da te. Tu hai bisogno di discorsi, di carezze, di giorni, di attenzioni, io ho solo bisogno di attimi. Potrei mentirti dicendoti che potresti avere un ruolo nella mia vita ma non voglio farlo, non con te che sei così pura, così troppo per me."
- " Tu hai paura". Disse la fata.
- "Ahahahahahahahahaha!" il musico irruppe in una risata demoniaca che squarciò il silenzio seguito a quella fantasiosa affermazione.
"io, paura? Non ingannarti con queste scuse, non inventare realtà che non esistono per convincerti che potrei amarti. Io non ho paura, io non ho voglia ed è ben diverso. Per me tu sei un esserino inanimato, qualcosa che si muove come me ma che io userei per giocare, niente di più. Sei un bisogno piuttosto basso, una compagnia di brace, non di cielo. Io vivo per i miei tasti, vivo con me stesso, fondamentalmente. Non c'è altro spazio."
- "Eppure la tua musica è meravigliosa...." riprese lei sottovoce. "Se solo tu mettessi un frammento dell'anima che metti quando le tue mani sfiorano quei tasti, se solo tu lo mettessi nel pensare cambierebbe tutto, ne sono certa."
- "affinché le cose cambino tu devi diventare una strega, una strega sanguinaria. Sei disposta a farlo?"
La fata riflettè sulle parole del musico.
- "Sì, anche solo per una notte".
- "E' già mattino, non vedi che nasce il sole? Dovrai accontentarti di un attimo, a me basta"
E la baciò ma lei lo allontanò.
- " Io non ti voglio per un attimo, io ti voglio per me, sempre! voglio che la tua musica sia la mia sveglia e la mia ninnananna, voglio che le tue mani si dedichino solo a me e non ad altre, voglio che tu prenda il bene che ho da darti capendo che è prezioso"
- "Se è questo che vuoi, lasciami stare. Io non faccio per te. Tu hai l'anima troppo candida per trasformarti in una strega e, a questo punto, sono io a non volere che tu lo faccia. Se tu mi avessi per una notte non ti daresti più pace, meglio allora che rimanga tutto solo nella tua testa. Non voglio avere il tuo cambiamento sulla coscienza, sarebbe una responsabilità troppo grande per me che di responsabilità non ne voglio affatto. Preservati così e dimentica"
- "Addio"
- "Addio".
Il musico pianse una sola lacrima di sangue vedendo la fata allontanarsi da lui. Sapeva che sarebbe tornata, lo aveva capito dal quel tremore nella voce ma sapeva altrettanto bene che l'avrebbe allontanata ancora.

Non si può competere con la musica quando questa riempie ogni centimetro del corpo; la si può affiancare provvisoriamente ma sostituire no, mai.


martedì 15 giugno 2010

Vampiro di Respiri.

Respirami. Respirami nell'aria che respiro, trattienimi tra le narici e la fronte così che io possa rimanere sospesa nei tuoi sensi, in equilibrio sul filo delle sensazioni controverse, a cavallo tra senso immediato e ragione, nel groviglio delle tue alchimie chimiche. Mi sentirai vagare come un piccolo verme appiccicoso ma non lascerò traccia di me perché non amo farlo. Poi soffiami via, lontano, catapultata in un vento di negazione profonda dalle trame di desiderio negato, taciuto o manifestato. Lontano dai tuoi sensi e dalle tue mani, ragnatele troppo spesse per potermi divincolare, per poter scappare... oltre il muro di una fisicità imponente affinché io possa sentire il bisogno di averti.
Ma per me questo viaggio sarà un tarlo, come il ticchettio dell'orologio della mia camera che è fermo ma batte i secondi, lasciandomi un senso di impotenza serena: il tempo scorre anche se io sono ferma, coperta da lenzuola bianche a fiorellini e da un velo di desideri nascosti.
Come io respirerei e tratterrei ogni tua particella, la tratterei come fosse una pietra preziosa, con la stessa meticolosa cura, con la stessa paura di furto, con lo stesso insistere.
Io al momento non respiro. Non ci sono profumi che rapiscono i miei sensi, non ci sono attimi che rubano la forza alla mia volontà di opposizione razionale, non ci sono momenti da incidere sulla pagina quasi voltata dei ricordi.
Mi chiedo quando ricomincerò a respirare come amo respirare, a pieni polmoni, quando riuscirò a inebriarmi del gusto che potrebbe rendermi, finalmente, mansueta e soddisfatta. Un vampiro di respiri. E' questo che mi sento. Necessito di respiri per poter respirare, necessito di alchimie, necessito di pugni allo stomaco. Senza questo, tutto è nulla. Rassegnarmi a prendere quel che viene per investire sul futuro non è ancora nei piani di sistemazione della mia vita da persona meschinamente normale, priva di slancio artistico, priva di fascino apparente. Ma la settima alba è arrivata anche per me, adesso che i profumi passati non sono più nei sensi e una volontà di riscatto rinvigorisce le forze.
Quando mi respirerai, figura non ancora conosciuta, sagoma che non ha nome, non ha volto, non ha carne? Quando potrò vederti affiorare dalle acque scure di questo insieme di insensatezza, di motivazioni negate o falsate? Quando verrai per potarmi via con te, per accettare che io ti porti via con me? Quando potrò finalmente sfiorare il tuo viso senza tratti, collage scomposto di attimi sfuggiti e passati? Viso forse segnato dal dolore eppure ai miei occhi meravigliosamente bello? Quando, quando?