venerdì 2 luglio 2010

.... la luce sorprendente della morte.

Per alcuni il tempo non lavora. Con alcuni il tempo non riesce a erodere; anzi, pare addirittura agire al contrario. Ma questo accade solo per le anime che, sebbene inconsapevolmente, hanno vinto la vera battaglia con la vita, col passare inesorabile dei minuti, delle ore, dei giorni, dei mesi, degli anni, anche tanti anni. Perché è sempre il meno consapevole che frega il tempo, nel suo ingenuo e limpido progredire passo dopo passo, con l'entusiasmo di chi della vita vuole sentire ogni sapore, toccare ogni attimo, senza risparmio. Solo le grandi anime possono rapire i cuori e incidere su di essi il proprio nome così che ogni ferita, profondissima, non riporti solo dolore ma anche emozione.
Credo che Francesco Alviti sia stata una di queste anime speciali, di quelle che ti dispiace non avere incontrato quando il normale significato del "vivere" era comune a entrambi. Ma l'incontro postumo non è meno carico di importanza, non quando la morte combatte ancora con la vita, perdendo tutte le sue battaglie. Francesco in 20 anni ha costruito tanto, forse più di quanto io riuscirei a fare in tutta la vita e sembra ritornare in questo quell'antico concetto popolare che dice: "coloro che hanno tanta voglia di fare, di scoprire, forse hanno così tanta fretta perché sentono di dovere andare via presto" e, tale progressione terrena di invecchiamento limitata, accomuna spesso le meteore più luminose, le presenze più speciali che anche nell'assenza sembrano non essere mai assenti.
Io potrò vivere anche 100 anni ma la mia vita non sarà mai lunga come quella di Francesco: lui rimarrà sempre sorprendentemente vivo. Io finirò, lui no. Lui sì che è immortale.

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