venerdì 23 luglio 2010

Parla Piano.

La parola "purtroppo" ricorre molto spesso, purtroppo, tra le mie espressioni. Ecco, appunto, purtroppo.
"Sopra il volto tuo pago il pegno di volere ancora avere, ammalarmi di te, raccontandoti di me..."
Quel che resta è solo cenere, un grumo di granelli grigi che avanza la pretesa di essere comunque utile ad accendere una fiamma diversa dal fuoco della passione. Ma adesso io mi chiedo: "è davvero così semplice, per te?"; mai lo è stato e mai lo sarà, per me, anche se impossibile non è... tutto è possibile se lo si vuole.
"Affidarsi a te, non fidandomi di me. Sopra il volto tuo pago il pegno di rinunciare a noi, di vederti soltanto nel volto del ricordo".
Qualsiasi cosa tu voglia dire, parla piano, per non perdere una sola virgola di quello che vuoi dirmi, per non rendere confusa l'agonia, per infarcire il discorso di qualche bugia di comodo che scarichi la tensione che le nostre mani esprimono tremando, cercando le dita dell'altro per poi respingersi, consapevolmente responsabili di essersi toccate quando avrebbero dovuto non sfiorarsi affatto.
Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, dilla, anche se probabilmente non ascolterò perchè lo sguardo è fisso sul mare, come quel giorno, e la testa troppo vuota e chiusa a mille mandate per permettere alla tua chiave di aprirla ancora, ancora una volta, senza che a coprire ci sia un velo di tristezza.
Parla piano, se vuoi parlare, ma non capisco proprio come tu possa ancora avere voglia di fare rumore con le labbra; in realtà non so se tu ne abbia voglia e non riesco a immaginarlo perché il filo che ci legava e che ci permettava di capire l'altro senza suoni, si è rotto... momentaneamente.
Quello che mi scorreva dentro, al passare di un pomeriggio caldissimo tra i granelli di sabbia, io, l'ho detto ma tutto quello che vorrei dire adesso, io, non riesco a dirlo: si ferma prima di arrivare in gola, corrodendo lo stomaco. Ma non permetto a questo acido dolcissimo di uccidere l'ottimismo con cui ho sempre imboccato le mie strade, sorridente e propositiva, disposta a trovare accordo, un punto comune e una risata in più... torneranno quei giorni, ne sono certa ma adesso non riesco ad esprimermi se non con qualche goccia d'acqua dal sapore un poco aspro e non riesco a volerti vicino se non un po' lontano: il tuo sorriso mi farebbe male, la tua spensieratezza mi colpirebbe così come mi colpisce il suo volto accanto al tuo.
Quando torno a casa mi illudo di riassaporare il profumo dei tuoi pensieri nella speranza di vedere il telefono illuminarsi; mi ripeto che mi piacerebbe camminare ancora nella tua testa, zompettare di qua e di la fino a strapparti un sorriso o un "dai, angelina, dobbiamo andare". Forse è questo che accade quando ti strappano dalle mani il regalo che hai appena ricevuto; non ne ho idea, non so dirlo. Io so solo che le nuvole sono ancora lì, loro che passano sempre, che pensavamo sarebbero passate come noi non avremmo fatto per noi due, almeno non adesso. Loro non sono passate, sono sempre lì, dove passa la ferrovia, ad amarsi tenendosi per mano come noi non facciamo più.
Loro, che dovevano passare, sono lì. E noi, che pensavamo di non passare, siam passati.
Se proprio vuoi parlare, parla pure.... ma parla piano.

"la verità non si sa, non si sa come riconoscerla; cercarla nascosta nelle tasche, i cassetti, il telefono... che ti da, che mi da, cercare dietro gli angoli, celare i pensieri e morire da soli in un'alchimia di desideri".

domenica 18 luglio 2010

Ho avuto bisogno di te.

Ho immaginato che lo schienale della poltrona su cui mi ero accoccolata fosse il tuo petto e che i braccioli prendessero la forma delle tue braccia per tenermi in una sfera amorevole, calda e morbida.
Solo un tuo abbraccio avrebbe potuto calmare l'ansia, il nervosismo, solo il tuo respiro avrebbe potuto permettere al mio di sincronizzarsi su una frequenza più bassa... lo sentivo.
Ho immaginato che il tuo mento spostasse con dolcezza i miei capelli e i tuoi silenzi accarezzassero i pensieri imbizzarriti.
Ho avuto bisogno di te, come una bambina arrabbiata ha bisogno delle carezze della mamma per prender sonno; così ho afferrato il telefono e ti ho implorato di soccorrermi... e tu sei arrivato col pensiero e mi hai tenuta stretta, senza dire una parola, come ti avevo chiesto. Così ho cominciato a dondolare, quasi che tu fossi lì davvero e mi ripetessi con la tua voce fina e ferma "shhh, non aver paura, non è niente.".
So che stasera non riuscirò ad addormentarmi ma proverò a calmarmi pensandomi nel tuo abbraccio, ripetendomi la tua voce che mi dice "Non è niente, stai tranquilla, non è niente".

... Ora che ci penso, non può essere niente il fatto che ho avuto bisogno di te.